La chiacchierata con Kevin Koci, giovane perla cantautorale emergente, ha lo stesso effetto del primo ascolto di una sua canzone: il collo si gira in direzione del suono in un istantaneo movimento involontario, seguito a ruota dalle orecchie che si tendono, catturate. Il cervello inizia quindi a ricordare che questo spettinato e stralunato artista biturgense ha solo 21 anni. Si chiede quale sortilegio o macchinario fantascientifico lo abbia catapultato nella sua generazione per ricordarle la profondità, armato di chitarra acustica, sensibilità e grande scrittura. Per sintonizzarsi con Kevin e capire come la persona e la sua espressione artistica siano inscindibili occorre cominciare davvero dall’inizio, dall’incontro con la musica in una scuola media della provincia aretina.
“Avevo 12 anni e come tutti gli studenti delle scuole medie ho conosciuto la musica con l’odiato flauto… Non so bene perché, ma ebbi la pulsione di chiedere alla mia insegnante, un po’ per caso, se potessi seguire il programma suonando una chitarra. Lei, di animo hippie, ne fu entusiasta, così cominciarono le mie giornate passate in cameretta, in compagnia del libro di musica classica e della Eko (chitarra acustica di gamma decisamente basic, ndr) che i miei mi regalarono. A quei tempi scrivevo già poesie, per quanto allo stato embrionale: fu naturale far combaciare le due cose. Certo, sono prima dovuto arrivare alla pagina degli accordi e, soprattutto, ho prima dovuto scoprire De André! Con Faber cambiò tutto, mi condannò a pensare… Capii che creare musica poteva essere il modo giusto per sfogare le frustrazioni quotidiane dei miei anni scolastici, vissuti nella timidezza e venati da un senso di inadeguatezza alle attese di un contesto sociale che sentivo poco mio.”
La musica come catarsi, generando bellezza dai propri conflitti interiori che vengono al contempo esorcizzati. La storia di Kevin Koci suona esattamente come le sue composizioni, toccando con semplicità le corde più recondite dell’animo, in perenne movimento tra piccoli drammi quotidiani e viaggi mentali sui massimi sistemi.
È naturale il rimando al filone del “cantautorato cerebrale”, che con strofe cariche di riflessioni va in realtà a stimolare e risvegliare le emozioni umane, l’empatia, la passione. Sono evidenti le impronte dei vari Bob Dylan, del già citato De André, Luigi Tenco, Enzo Iannacci e via ricordando…
Ma com’è essere un cantautore oggi, in un contesto che pare viaggiare, anche musicalmente, su tutt’altri tempi?
«Cito David Bowie. In un intervista disse che chiunque decida di fare l’artista deve avere una sorta di disfunzione sociale. Io sono arrivato al liceo e a malapena parlavo, tramite la musica ho trovato la mia identità ed ho preso confidenza anche nella vita di tutti i giorni, altro non potrei essere. Solo esprimendomi così riesco ad avvicinarmi ad un equilibrio tra il mio lato più cattivo, distruttivo, e quello più bambinesco, sognatore. Per me, poi, è naturale fare musica per trasmettere un messaggio, per avvicinarmi agli altri creando qualcosa per loro. C’è un mio pezzo, Sospeso, in cui parlo dello scontro che ognuno di noi affronta tra il proprio ideale e la realtà…ecco, quello è il mio modo di rivolgermi a chi soffre di depressione, a chi si sente solo, per dirgli “Ehi, tranquillo, c’è qualcun altro che ci è passato con cui condividere le sensazioni”.»
Non di sole fragilità si canta, però: l’auto-riconosciuto bad side di Kevin emerge nella velenosissima orecchiabilità di Indie, pezzo da cercare ad articolo letto e da ascoltare in loop, in cui con delicata e letale ironia si sbriciola una bella fetta dell’attuale scena indie o pseudo-tale. Non si può non chiederlo, a questo punto. Cos’è l’indie?
«Il termine era nato per definire la musica auto-prodotta, fuori dal circuito delle grandi etichette discografiche. Poi, proprio quest’ultime se ne sono appropriate, usandolo per creare un genere indefinito che giustificasse la cattiva scrittura, senza contenuti da veicolare con la musica.
Peggio ancora, quando i contenuti sono studiati a tavolino: è pieno di finti depressi e la cosa, tra l’altro, mi tocca molto da vicino… Indie è stato uno sfogo, ispirato da Willie Peyote (ebbene sì, influenze contemporanee! ndr), in cui ho ricercato il contrasto tra immediatezza sonora e critica nel testo, volevo che l’ascoltatore fosse catturato dall’orecchiabilità e poi si accorgesse che con le parole stavo picchiando.»
Uscito dalla cameretta, con la scrittura come respiro incessante e vitale, si è forgiato tra palchi e vari contest di settore (vincitore dell’Arezzo Wave Ius Soli 2018 e del From Billi’s to MEN/GO 2019), ricevendo ottimi riscontri e collaborazioni già nate con mostri sacri della scena alternativa italiana (si è esibito al MEN/GO Mucic Fest 2019 con il violinista Francesco Moneti dei Modena City Ramblers). Ultima in ordine di tempo, la recentissima selezione tra i partecipanti al progetto Woodstock Wave 50, che ha visto Kevin impegnato in scambi didattici con artisti e professionisti musicali per poi esibirsi allo Spazio Seme di Arezzo, nel concerto che concludeva il ritorno a casa della Fondazione Arezzo Wave Italia nel rinnovato format Sud Wave.
Kevin Koci è pronto a sfilarsi il cappuccio con cui si è protetto in passato, con la testa alta e l’anima carica di voglia di condividere la sua musica con tutti. La speranza, anzi l’urgenza, è di concretizzare questi mesi di intensa ed arricchente crescita incidendo il primo album. Non si torna indietro. La lotta interiore che è il suo fuoco creativo non terminerà mai, ma verrà affrontata a viso aperto, col sostegno di un arsenale di note e concetti che varrà la pena ascoltare, assimilare, riascoltare.
di ALESSIO FRANCI
Musicomane innamorato di ogni applicazione del linguaggio. Cerco storie e suoni che mi facciano vibrare tanto ad ascoltarle, quanto a raccontarle. Osservo, rifletto, percuoto, vivo. Mi muovo per il mondo senza filtri e senza la pretesa di trainarlo, col solo obiettivo di conoscerne ed apprezzarne le sfumature più o meno armoniche.