Quattro psicologi, amici e colleghi, che lavorano tra Arezzo e Firenze e puntano ad espandersi in tutta la Toscana. Giovani professionisti che hanno imparato a valorizzare e rispettare le rispettive risorse, ognuno con le proprie competenze, ma accomunati dagli stessi valori. Questo è SpazioPosso, nato quando Camilla Biondi, Federica Valeri, Arturo Mugnai e Martina Carretti hanno pensato che sarebbe stato possibile rendere la psicologia accessibile non più e non solo a pochi.
La loro idea è quella di avvicinare tutti i cittadini alla cultura psicologica, soprattutto coloro che ne hanno più bisogno, ma spesso non possono permetterselo economicamente. Ecco che quindi hanno iniziato ad offrire servizi di consulenza e sostegno psicologico solidale, al fine di promuovere e diffondere benessere psicologico alla comunità.
SpazioPosso è fatto di relazioni e supporto, è dove le persone possono trovare ascolto e professionalità. Ma non solo, è anche una realtà che promuove programmi di ricerca finalizzati a nuovi interventi applicativi e alla divulgazione tramite social media, pubblicazioni, incontri e podcast.
Abbiamo chiesto ai fondatori di SpazioPosso di parlarci del loro lavoro.
SpazioPosso è qualcosa che va ben oltre la semplice consulenza psicologica, è un progetto a 360 gradi legato alla psicologia. Qual è il vostro obiettivo?
«È un progetto che mira per prima cosa ad accorciare le distanze fra l’utenza e il mondo della psicologia. Vogliamo sensibilizzare e normalizzare la nostra professione perché purtroppo c’è ancora tanta reticenza e tanto pregiudizio nel rivolgersi a uno psicologo in caso di bisogno. Attraverso i social e grazie all’utilizzo di un linguaggio semplice e giovane vogliamo veicolare il messaggio che la salute mentale è un diritto e conta quanto quella fisica.»
#UniMaNonSoli è rivolto a studenti e studentesse universitarie che possono affrontare un percorso psicologico ad una tariffa agevolata, anche attraverso consulenze online. Ci parlate di questo progetto?
«Il periodo universitario è uno dei momenti più difficili per un individuo perché condensa in sé molti compiti evolutivi cruciali. Ragazze e ragazzi sono chiamati a dover definire obiettivi e a pianificare la loro vita futura sia dal punto di vista personale che professionale, a creare nuove relazioni intime e sociali, ad essere autonomi e a svincolarsi dalla famiglia d’origine. In poche parole, devono abbandonare i panni di adolescenti per iniziare a vestire quelli da adulti. Questo già di per sé porta a una maggiore richiesta di supporto psicologico in questa specifica fascia d’età. A questo bisogna aggiungere che gli studenti sono stati sicuramente una delle fasce più psicologicamente colpite dalla pandemia. Frequentemente gli studenti universitari vivono lontani dalle loro città, sostenuti e mantenuti dalle loro famiglie, facendo anche lavoretti saltuari per far quadrare i conti a fine mese. Per quello che abbiamo avuto modo di constatare noi, spesso questi ragazzi evitano di rivolgersi ad uno psicologo proprio per non gravare ulteriormente sulle tasche delle loro famiglie. Il nostro progetto nasce proprio dalla volontà di colmare questo bisogno.»
Pensate che questo particolare momento storico possa essere adatto per sviluppare più sensibilità verso il disagio psicologico?
«Ci sembra assurdo che sia servita una catastrofe di portata mondiale per capire quanto fosse importante (e precaria) la salute psicologica. Il momento storico che stiamo attraversando ha sicuramente portato alla luce quanto il disagio psicologico sia diffuso e trasversale. Quindi assolutamente si, questo è il momento per ribadire ancora più a gran voce quanto sia utile, normale e frequente rivolgersi ad uno psicologo. Ma soprattutto è il momento che le istituzioni costruiscano interventi concreti su scala nazionale.»
Avete riscontrato un maggiore bisogno di supporto?
«Assolutamente sì. L’equilibrio psichico di tutti in questo ultimo anno ha subìto un gravissimo contraccolpo già durante il primo lockdown, ma ora rischiamo di avvicinarci veramente a un punto di non ritorno. La gente è stanca e sfiduciata. La paura, l’incertezza, l’isolamento, la convivenza forzata, la socialità inibita, l’interruzione della scuola e delle attività sportive hanno portato alla rottura definitiva di equilibri personali e relazionali che già erano precari. Purtroppo, come categoria ci stiamo rendendo sempre più conto che il Sistema Sanitario Nazionale da solo non basta a coprire l’enorme richiesta di assistenza e che non tutti i cittadini possono permettersi un percorso terapeutico privato. È proprio per questo che, nel nostro piccolo, cerchiamo di dare il nostro contributo venendo incontro alle fasce economicamente più svantaggiate.»
di CLAUDIA DI BERNANRDO
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