Le urla si erano interrotte da alcuni minuti, a differenza dei rivoli di sudore che solcavano i volti delle due guardie ed il respiro affannoso causato dal notevole sforzo fisico. Credevano di non aver fatto in tempo a salvare chiunque avesse urlato, quindi si fermarono esausti in mezzo ad una folta macchia nella boscaglia per riprendere fiato. Lasciarono cadere le torce e i pila a terra, piegandosi poi sulle ginocchia ed asciugandosi la fronte con il dorso delle mani: nessuno dei due riusciva a parlare per la stanchezza.
Un fruscio in costante avvicinamento li fece scattare, provocando una sguainata di lame che balenarono alla luce delle torce a terra, irradiando riflessi bianchi tra le fronde degli alberelli sparuti e tra i cespugli circostanti. Antonio ed Aulo rimasero in attesa, stringendo nervosamente le else dei gladii tra le mani, preparandosi ad un combattimento poco convenzionale con un branco di animali divenuti leggenda in pochi mesi. Si erano persino dimenticati i pila a terra, tant’era la tensione e la paura nell’aria.
Con un tonfo secco, ciò che uscì dalla macchia di fronte a loro, inciampando e cadendo, fu una persona; un uomo, per la precisione, con una tunica leggera malconcia quanto le sue stesse gambe, un rivolo di sangue che gli scendeva dalla tempia e due occhi spiritati e colmi di terrore. Lo sconosciuto urlò per il dolore provocato dalla caduta, ma cercò poi di rialzarsi rapidamente dandosi un’occhiata alle spalle, per poi paralizzarsi quando notò i due uomini armati fino ai denti e pronti a colpire.
«Dove sono i lupi?!» urlò Antonio per caricarsi e non cedere alla tentazione di fuggire.
Non ci fu nessuna risposta dall’individuo, che invece si gettò a terra raggomitolandosi in posizione fetale, piangendo e chiedendo pietà.
«Dove sono?! Allora?!» continuò il soldato, mentre con il suo compagno si guardavano attorno: si sentivano solamente i singhiozzi e i deliri del disgraziato. «Gli occhi di brace e le lingue di ferro. Mi scorticano e mi lacerano. Zanne d’acciaio e artigli di bronzo. Mi mordono e mi graffiano. Salvatemi, vi prego. Loro sono qui…»
Le pattuglia rimase per un po’ sul chi va là, ma senza risultati, quindi la loro attenzione si spostò sullo sconosciuto.
Antonio abbassò l’arma, facendo gesto all’amico di imitarlo, per poi piegarsi sull’uomo, dicendo: «Lo sapevo, erano tutte balle. Non abbiamo nemmeno sentito un ululato o il verso di un cane, se non di quello che sta rannicchiato pietosamente ai nostri piedi. Un pazzo ti ha mandato Diana.»
Dopo qualche secondo di silenzio, Antonio si alzò di scatto con un ampio sorriso stampato in faccia. «Amico mio, ritiro tutto quello che ho detto. Che gli dei ti benedicano. Ci hai appena fatto un regalo enorme. Questo qua è quel cane bastardo chiamato l’Aranea, il ladro dei templi che si dice cali dal soffitto e sparisca con le offerte senza lasciar traccia. Vedi questa?» indicò una grossa cicatrice che partiva da un lato del collo del malfattore, scendendo fin sotto la sua tunica. «Questo è il segno di riconoscimento di cui si parla in giro. Verremo ricompensati profumatamente per averlo catturato…» si interruppe, mentre il suo sorriso si trasformava in un ghigno che per un istante fece sobbalzare persino il cuore di Aulo; poi riprese a parlare con tono calmo. «La refurtiva non è mai stata trovata, ed è un tesoro inestimabile.»
Antonio scattò, calciando svariate volte Aranea, che si strinse ancor di più nella sua posizione fetale, così forte da poter quasi sparire. «Parla! Dove hai nascosto la refurtiva, schifoso profanatore.»
«Smettila Antonio, così lo ammazzi!» intervenne Aulo, afferrando il compagno per un braccio ed allontanandolo dal malcapitato, «Non potremo recuperare la refurtiva e la taglia se lo uccidi di botte. Calmati, tu sei quello sveglio, ricordi?»
Antonio si ricomporse, annuendo con la testa e dando qualche pacca sulla spalla all’amico per ringraziarlo. «Hai ragione Aulo, ora sono calmo. Lascia fare a me.» disse, riavvicinandosi all’uomo e piegandosi su di lui, mentre quest’ultimo lo osservava terrorizzato attraverso le fessure delle sudicie dita. «Se mi dici dove hai messo il tesoro, giuro che ti lascio andare. Altrimenti ti ammazzo.» lo esortò con voce glaciale, sussurrandogli nell’orecchio, senza che l’altra guardia potesse sentire.
«Pietà! Pietà! Lei è laggiù. Sopra di esso.» farfugliò lo sciagurato.
«Laggiù dove?»
«Dove l’acqua scorre ed il bianco danza.»
«L’acquedotto? Smettila di parlare per enigmi.» rispose Antonio spazientito, prendendolo per il collo.
«Sì, sì! Ai suoi piedi. La grande quercia!» mugolò Aranea, strizzando gli occhi per paura di ricevere del dolore.
Aulo osservava i due, ma non riusciva a capire cosa si stessero dicendo. Fu mentre stava controllando la macchia attorno a loro, che accadde tutto rapidamente ed in maniera confusa: ci fu una colluttazione tra il suo compagno e l’uomo a terra. Quest’ultimo alla fine, dopo aver gorgogliato qualcosa, rimase immobile.
Antonio si alzò con calma, osservando il cadavere del ladro con la gola tagliata e pulendo la lama sporca di sangue con un lembo della tunica del morto.
«Ha provato a prendermi il pugio, il bastardo.» lo indicò alzando il mento, «Probabilmente non sopportava l’idea di aver confessato. Alla fine un profanatore come lui meritava solo la morte, no? Diciamo che è stato un sacrificio alla dea Diana. Di lui non frega niente a nessuno, ci pagheranno profumatamente per la refurtiva.»
Aulo era impietrito, ma la spiegazione dell’amico lo aiutò a rilassarsi. «Ti credo. Era inevitabile, se ha provato ad ucciderti.» rispose dopo un profondo respiro.
«Purtroppo sì.»
«Ti ha detto dove ha nascosto il suo tesoro?»
«Certamente, non è nemmeno lontano da qui. Seguimi. Oggi è la nostra giornata fortunata.»
“Non per tutti, a quanto pare.” pensò turbato Aulo, raccogliendo da terra la torcia ed il pilum e lanciando un ultimo sguardo al cadavere di Aranea, il ragno dagli occhi vitrei.
di LORENZO STIATTI