L’Orchestra Multietnica di Arezzo (OMA) è un viaggio artistico e culturale, che dal Medio Oriente risale la Via Balcanica e sfocia nel Mediterraneo, ispirandosi ai concetti di pluralità, confronto e mescolanza, insieme a un ideale di pace, che viene raggiunto anche attraverso la ricerca di radici comuni. Abbiamo intervistato il bassista e cofondatore, Luca “Roccia” Baldini.
Come è nato il progetto, e da cosa è stato ispirato?
«Il progetto è nato nel 2007, sicuramente da queste intenzioni. Officine della Cultura, germoglio e padre – madre di OMA, è una cooperativa che nasce principalmente come produzione musicale; negli anni si è evoluta anche con produzioni teatrali, cercando con fermezza un’identità pluriculturale, che ha trovato nelle comunità di stranieri, tramite mediatori culturali o dentro le situazioni in cui gli stranieri vivono nella nostra città. Successivamente, attraverso un laboratorio di musica araba ed ebraica, abbiamo messo insieme questo gruppo di persone. Anche nei prossimi obiettivi dell’Agenda Europea si parla di pluralità, di nuove città, di cultura sostenibile: questo progetto vuol far vedere che l’Italia è anche, anzi principalmente, questo.»
Quest’estate siete stati in tour con “Storie della Buonanotte per Bambine Ribelli”, insieme a Margherita Vicario. Avete inoltre partecipato al Concerto del Primo Maggio, e in parallelo avete proseguito con “Culture Contro La Paura”, un progetto aperto che, assieme a vari ospiti, portate avanti dal 2017/2018. Come è andata?
«Il nostro è un progetto principalmente sociale, con un risvolto culturale. OMA è composta da professionisti, ma in gran parte da ragazzi aretini, e questa è l’importanza del nostro messaggio. Il Tour sta andando molto bene, abbiamo fatto una decina di date in Italia con risposte importanti, ma l’obiettivo principale è il coinvolgimento dei ragazzi in nuovi progetti. Margherita è una grande artista, le Storie che raccontiamo sono importanti, e in esse, grazie agli arrangiamenti, è ricompreso anche il nostro piccolo contributo. Avremo un altro paio di date a settembre, poi ci fermeremo un po’ in vista della ripresa invernale. Anche il Tour di CCLP andrà avanti.»
In luglio avete partecipato anche alla manifestazione della GKN di Firenze, per battervi contro il licenziamento illegittimo di 500 lavoratori, che dall’oggi al domani, tramite una semplice mail, sono stati unilateralmente privati del loro posto di lavoro. Come è stato essere lì, e qual è il valore che la musica può avere nella politica e nel sociale?
«È stata una serata bellissima, non una passerella di artisti, ma una vera condivisione: tutti insieme a protestare, noi a nostro modo, attraverso la musica. Lì ho visto come potrebbe essere la nuova politica: forse i partiti oggi non funzionano perché non c’è una simile spinta di bisogno, bisogno di sopravvivenza. Alla GKN c’è un Collettivo interno, oltre al Sindacato, che dà vita a un’unione di fabbrica importante e crea un nucleo politico forte. Noi attraverso la musica vogliamo ricreare questo, dare la possibilità alle persone di potersi esprimere, avere un valore, che è valore della dignità del lavoro, ma anche valore umano. Spero che i ragazzi della fabbrica possano continuare la loro lotta pacifica, e possano essere d’esempio per i loro figli e per i più giovani. Solo riprendendoci la coscienza di noi stessi riusciremo a vincere il nostro unico nemico, il capitalismo.»
Quali sono i vostri progetti futuri?
«Abbiamo due nuovi progetti importanti: uno riguardante il cantautorato italiano, insieme ad alcuni ospiti, e uno con Ottavia Piccolo, che partirà a novembre. In parallelo proseguiranno i concerti, il lavoro nelle scuole, il nostro Festival di cortometraggi. Sarebbe bellissimo anche poter uscire dall’Italia: sogno gemellaggi con altre Orchestre Multietniche in Europa. Condividere qualcosa ci fa sentire sempre più vicini, e meno deboli; ci fa capire che i nostri problemi sono esattamente gli stessi di tutti gli altri.»
di GEMMA BUI
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Studentessa, musicista, cultrice dell’Arte variamente declinata. Con la scrittura, cerco di colmare la mia timidezza dialogica. Nelle parole incarno la sintesi – e non la semplificazione – della realtà. Credo nella conoscenza come mezzo per l’affermazione di sè e come chiave di lettura dell’esistere umano.