Per confortarci ricordandoci che nel mondo della musica da discoteca c’è ancora chi ne fa ardere la fiamma qualitativa, anche sotto ad una grandinata di dj set ormai improvvisati ovunque e da chiunque, facciamo un salto mortale dietro la consolle per raggiungere Giulio Etiope, dj e producer aretino sulla scena da oltre 15 anni, con esperienze di platee e collaborazioni internazionali e un viscerale amore per la musica ancora lì, immutato e udibile ad ogni occasione che si ha di sentirlo suonare. Prima di analizzare con Giulio come il classe ’91 sia arrivato a condividere la consolle con Paco Osuna, Fabrizio Maurizi, Secret Cinema, Idriss D, oltre che a suonare e produrre con ottimi riscontri in scene come quella londinese, dopo aver contribuito a creare un magico micromondo simil-berlinese in un ambiente arduo come quello di Arezzo (leggasi Klang).
Come e quando Giulio diventa il dj che oggi amiamo?
«Già da bambino sono stato flashato dallo stand con la disco music che c’era una volta in Piazza Guido Monaco nel periodo di Carnevale! Tutti gli altri bambini correvano tra i vari giochi, io non mi scollavo da quelle casse. I sintomi si son visti presto, insomma. Fino all’arrivo della prima consolle, non mancavano mai le compilation Hit Mania e Festivalbar. Poi, nel 2004, ecco in regalo dallo zio la consolle, con i giradischi e quindi con i vinili, grazie a cui ho iniziato a fare sul serio, aggiungendo man mano le parti mancanti fino al tanto agognato CDJ.
Tra l’altro, in un periodo in cui mettere dischi era visto come una pura perdita di tempo. Devo quindi ringraziare cresima e ricorrenze varie perché altrimenti probabilmente i miei non mi avrebbero sponsorizzato! Io ormai ero comunque già rimasto folgorato, a prescindere. Uscito da scuola, i miei pomeriggi li trascorrevo tutti al negozio Disco 3000, ascoltando musica, confrontandomi con il proprietario e soprattutto iniziando a collezionare dischi, anche già prima di possedere uno strumento per suonarli. Trascorsi un paio d’anni, emersa nel frattempo anche la produzione di tracce tra le mie attività parallelamente alle serate che aumentavano in numero e importanza, ho venduto l’attrezzatura da dj avendo ormai capito come funzionava, investendo così sulla costosa realizzazione di uno studio per focalizzarmi sulla creazione, non più solo sul djing. Nel 2008 uscì il mio primo remix, poi a seguire la prima traccia originale “Tribute to Sconvoltz” con l’etichetta Italo Business, traccia che fu anche suonata in pochissimo tempo nel contesto internazionale di un festival olandese chiamato Sensation White, soddisfazione immediata ed enorme!
Contemporaneamente a queste affermazioni, iniziava con i fidati Elia e Niro Perrone l’esperienza unica dell’apertura del Klang ad Arezzo, da lì fino ad arrivare ad oggi; un viaggio stupendo fatto con amici (cito anche lo storico compagno di back to back Hester) e condiviso con grandi personaggi, toccando locali tra i maggiori in giro per il mondo (citiamo il Pacha per tutti), fino a tornare nell’attuale dimensione della serata Klang regolarmente accasata al Be One’s di San Zeno, sempre col solito filo conduttore: musica fatta e suonata bene, senza fronzoli o protagonismi.»
Finita l’era dell’oro in cui chi metteva dischi aveva cachet da capogiro e farlo professionalmente era un’aspirazione pressoché collettiva, come vedi oggi la scena della musica by night?
«Si trovano sempre più raramente varietà e qualità nella selezione. C’è probabilmente sempre meno attenzione anche per riduzione del bacino d’utenza: quando ho iniziato si entrava a ballare all’1 pm, non oltre. Oggi invece molto più tardi e con meno interesse per ciò che esce dalle casse, perché sono venuti fuori una miriade di bar e pub che mettono musica, se va bene con un soggetto improvvisato, se no, proprio con playlist random. Va da sé che, se i locali offrono lo stesso dimenticandosi di fare anche cultura musicale, si crea un corto circuito che danneggia senso e qualità di ogni dj set. Se chiunque ha una cassa per suonare, chi lo fa con una certa vocazione si perde un po’ in mezzo a questo annacquamento.»
Sei dj e produttore: se mai un giorno dovessi abbandonare una delle tue due anime musicali, quale butteresti giù dalla tua torre?
«Domanda difficilissima: alla lunga, forse, dovendo scegliere manterrei la produzione, ma solo perché la si può tener viva più facilmente nel quotidiano e negli anni. La smania del contatto con il pubblico però non passa mai, specialmente poi dopo le varie chiusure che abbiamo affrontato negli ultimi anni. Mettere la sequenza di dischi giusta e vedere il locale che viene giù davanti a te resta una sensazione impagabile; finché tengo fisicamente io suono, poco ma sicuro!»
Una torre che rimane intatta e composta da casse che vibrano a tutto volume, una torre per il cui mantenimento siamo felici e grati. C’è bisogno di tornare a ballare con mood e BPM sensati quale che sia il genere e in questo senso l’eclettismo qualitativo di Giulio Etiope può e deve essere un punto di ripartenza. Sotto cassa, of course, con udito connesso all’anima.
di ALESSIO FRANCI
Credits Caterina Bettini e Jacopo Lorenzini
IG: @giulioetiope
Musicomane innamorato di ogni applicazione del linguaggio. Cerco storie e suoni che mi facciano vibrare tanto ad ascoltarle, quanto a raccontarle. Osservo, rifletto, percuoto, vivo. Mi muovo per il mondo senza filtri e senza la pretesa di trainarlo, col solo obiettivo di conoscerne ed apprezzarne le sfumature più o meno armoniche.