“Ho un disturbo borderline.”
“Come ha avuto questa diagnosi?”
“Ho letto un post su Instagram.”
(Tratto da una storia vera.)
Tuttə sappiamo quanto questi ultimi anni siano stati difficili come periodo, ma toccando il fondo della crisi globale e della difficoltà sociale è emersa l’importanza – a questo punto innegabile – del benessere e della salute mentale, che hanno aperto un maggior dialogo su questi temi.
Ne sono scaturiti, quindi, un maggior interesse verso la psicologia, più necessità e richiesta da parte del pubblico, e di conseguenza una diffusione sempre crescente di informazione psicologica da parte del mercato.
L’infodemia psicologica, ovvero la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, che è nata da questa situazione, ha trovato terreno fertile su tutti i canali di comunicazione, e in particolar modo su social come Instagram e TikTok. E fin qui nulla di sorprendente, essendo la nostra attuale società una società-social; se non fosse che le regole dei social sono spietate: testi brevi, ripetitivi e semplici da comprendere.
Ed ecco il risvolto della medaglia.
Quella che all’inizio era narrazione psicologica completa, ha poi iniziato a trasformarsi in un uragano di informazioni, a volte talmente scheletriche da risultare superficiali, approssimative e non corrette.
Io stessa sono incappata in più occasioni, mentre praticavo scrolling, in post psicologici con titoli sensazionalistici, in cui venivano presentati sintomi o diagnosi con una superficialità e una generalizzazione tali che sarebbe stato difficile per chiunque (che non avesse concreta conoscenza dell’argomento) non cadere nella trappola dell’identificazione.
Il rischio di trattare argomenti così importanti e complessi in questo modo è quello di scivolare in una superficialità e un qualunquismo pericolosi.
E non lo dico perché lo penso, lo dico perché lo vedo.
Persone mi hanno parlato (e probabilmente altre lo faranno) di diagnosi autoproclamate dopo aver letto post trovati sui social.
Da un lato il disagio psicologico porta sempre più persone a ricercare informazioni su Internet, perché quando soffriamo o attraversiamo un malessere dare un senso e un nome a quel dolore può restituirci un controllo e un potere nell’impotenza; dall’altro la mole di post che dispensano informazioni generiche e sommarie su sintomi e diagnosi sono tanti, spesso sono accattivanti, creati con l’intento di attirare attenzione, like, visualizzazioni, non di aiutare veramente, e così, senza neanche rendersene conto, le persone arrivano molto velocemente ad elaborare un’autodiagnosi, e purtroppo ad autopatologizzarsi.
La psicologa viene percepita come una creatura mitologica, aliena, lontana da ogni umana fragilità o vulnerabilità. Una creatura da cui siamo affascinati e incuriositi, ma a volte anche spaventati...
Se le persone scivolano così frequentemente nell’autodiagnosi, la responsabilità è da attribuire a loro tanto quanto allə professionistə che producono un’informazione talmente superficiale da diventare disinformazione.
Come professionistə, dovremmo usare la tecnologia e i social con maggiore senso di responsabilità, conscə dell’importanza del ruolo professionale che rivestiamo. Rispettando, anche nella narrazione social, un’etica professionale e morale verso la società, sia come professionistə che come esseri umani.
Tra la miriade di pagine che parlano di psicologia si trovano anche informazioni di qualità; conosco colleghə che sui loro social riescono a veicolare contenuti in modo chiaro ed esaustivo, così come conosco pagine che fanno un ammirabile lavoro di divulgazione e sensibilizzazione, dimostrando che una narrazione più completa e corretta è possibile.
Continuiamo, quindi, a fare informazione, divulgazione e sensibilizzazione sui social, ma con l’accuratezza che queste tematiche meritano.
Come utenti-social, invece, dobbiamo tuttə prendere consapevolezza che al momento siamo solo bombardatə di informazioni, non siamo espertə; c’è una bella differenza.
Quindi va bene informarsi, ma ricordandosi che Internet da un lato ha facilitato enormemente l’accesso alla conoscenza, dall’altro, però, non sempre ne garantisce la qualità. In altre parole, in rete si trovano anche informazioni inesatte o incomplete.
Inoltre, anche nel caso in cui si riuscissero a reperire informazioni corrette, queste devono essere interpretate, contestualizzate e analizzate in connessione tra loro; in caso contrario si corre il rischio di giungere a conclusioni fallaci.
Soprattutto se si tratta di salute psicologica, ogni storia va accolta con la cura e l’attenzione che merita, per riuscire a restituire ad ogni essere umano la sua unicità e complessità.
Quindi informiamoci sì, ma con consapevolezza.
Dott.ssa Simona Turchetti
Tel. 333 3369533
Psicologa con Formazione Sistemico-Relazionale e Metodo Emdr
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