Il mese scorso siamo stati invitati alla première della nuova produzione di Farrago, Rumors – La casa brucia (regia di Tommaso Caperdoni, Luca Bizzarri), una serie tv dalle tinte thriller scritta e realizzata da autori della cosiddetta “Gen Z”, uscita su Prime video lo scorso 19 febbraio. Abbiamo intervistato alcuni dei principali attori e attrici della serie: Tommaso Bocconi, Valentina Bivona, Gaia Ria, Marco Benelli e Luca Di Sessa. Ciò che rende speciale questo progetto è la comune sensazione che ha unito tutti: la consapevolezza di essere parte di qualcosa di unico e incredibile.
Cosa vi ha spinto ad accettare questo progetto proposto da Farrago?
TB: «È parsa da subito una bellissima idea con un’ambizione molto interessante. Essendo di Arezzo come Marco non potevamo non accettare, conoscevamo la realtà Farrago già prima di prendere parte a questo progetto. Inoltre, è stata la mia prima esperienza con un ruolo di primo piano sullo schermo.»
VB: «Per me è un discorso differente perché non sono di Arezzo ma non c’è stato un istante nel quale abbia pensato di non farlo, la cosa più impaziente per me era provare l’emozione di stare su un set dalla durata più lunga, anche per vedere l’evoluzione del personaggio, quella mia personale, i rapporti che si creano.»
GR: «Ciò che mi ha spinto ad accettare è stato qualcosa legato ai progetti low budget, la gioia che trovo in questo lavoro sta proprio in questi spazi, nei quali puoi crescere in un posto sicuro. Penso che la crescita avvenga in modo più autentico in contesti simili.»
MB: «Io sono stato chiamato circa due mesi e mezzo prima delle riprese e mi sono messo subito a lavorare, per questo ho scritto subito vari appunti su come poteva essere il mio personaggio, come lo immaginavo. È stata un’idea che è piaciuta molto ai registi tanto da proporla anche agli altri attori.»
Preferite lavorare per il cinema, per la tv o per il teatro? E perché?
LDS: «La mia formazione parte dal teatro e ancora adesso lo pratico, preferisco però il cinema. A livello recitativo tra tv e cinema non credo ci sia una differenza marcata, sono sicuramente due modi di approcciarsi ad un progetto in modo diverso.»
TB: «Posso dire che ero abituato a recitare a teatro e la prima volta che mi sono visto al cinema ho avuto la sensazione di dover rivedere per forza una mia performance andata male. C’è anche molta differenza tra tournée teatrale e stare sul set. La tv la vedo come un effetto collaterale del mio lavoro.»
VB: «Io da sempre ho avuto un’impostazione cinematografica, non mi sono mai calata in ciò che è teatro. Ho sempre percepito una differenza abissale tra queste due arti: a teatro devi fare arrivare le tue espressioni all’ultimo della fila, nel cinema basta una buona inquadratura. La tv la concepisco come un allegato di un successo cinematografico, ad esempio.»
GR: «Ho iniziato con una formazione teatrale da piccola, questo mi ha reso subito chiaro che per me la questione è molto importante: a teatro arriva in modo molto più impattante questa sensazione di esprimere qualcosa. Quando ho iniziato a studiare e approcciarmi al cinema ho capito che questo mezzo espressivo è più nelle mie corde ma non posso dire di avere una preferenza tra i due.»
Vi lancio una provocazione: uno dei difetti dell’attore è di rimanere confinato ai cliché che gli altri gli attribuiscono, ovvero quello di avere un talento comico o drammatico. Voi cosa ne pensate?
TB: «Questa è una grande verità. Dal mio punto di vista tutti gli attori dovrebbero saper far tutto ma possono essere straordinari soltanto in una. L’attore si dovrebbe chiedere in cosa è più capace rispetto agli altri ma neanche peccare di presunzione e sentirsi sempre magnifico.»
GR: «La risposta sta proprio nel motivo per cui facciamo questo lavoro: diventare altro, esplorare, scoprire. Partiamo dal presupposto che l’attore è materia molle: più io riesco a trasformarmi, ad essere altro, a plasmarmi, e più riesco a conoscere qualcosa che ho voglia di conoscere.»
MB: «Concordo, ma banalizzerei: quando tu attore senti ti essere straordinario in qualcosa non sei l’unico a capirlo: c’è un’equipe dietro e tu lavori grazie a loro, per cui se capisci che quella cosa ti fa anche lavorare è un cliché che purtroppo tutti ci portiamo dietro, è lavoro. Ci vuole coraggio per uscire dalla comfort zone, perché è un po’ un rischio se il mercato richiede altro.»
LDS: «Il cliché non dipende quasi mai all’attore stesso. Se ci fosse mai un personaggio così fuori da me potrei anche avere tutto il talento del mondo ma il regista probabilmente sceglierà un’altra persona più affine al ruolo. Forse una volta che ti sei creato un nome hai più libertà di spaziare in altro e di non confinarsi ad una categoria.»
VB: «È inevitabile che qualcosa ci venga meglio di un’altra. Quando leggo un copione, un testo o un progetto, è molto difficile che possa pensare che non
sia nelle mie capacità, l’attore è chiamato proprio a questo e se bravo riesce tranquillamente a distaccarsi da un cliché, aiuta tanto a crescere professionalmente.»
di CARLO MARTINO
IG: @farrago._
FB: Farrago
Classe 1992, nato a Cori, un paesino che nessuno conosce. Sono laureato in Storia dell’arte e proprio a Firenze, città “culla del Rinascimento”, decisi di specializzarmi in arte contemporanea. Mai nessuna scelta fu così tanto azzeccata. Sono presidente di un’associazione culturale no profit con la quale organizziamo eventi e mostre d’arte contemporanea. Nutro una passione nell’origliare i commenti delle persone relativi alle opere d’arte allestite nei musei. Oltre a questo amo i libri, il rock, lo sport, l’improvvisazione teatrale. Mi piace molto anche il whiskey (se bourbon meglio).