Le vie del centro storico celano meraviglie cui a volte non facciamo caso anche passandoci di fronte ogni giorno… Non poco distante da piazza San Domenico, ad esempio, c’è una stamperia “vecchio stile” che ha adibito a vetrina un antico portone con manifesti affissi. Incuriositi da questa rarità abbiamo incontrato Massimo Pesce (alias Max Fish) che ci ha aperto le porte al suo mondo.
Quando è nata atipicapress e sotto quale ideale?
«Tutto è iniziato quando io e mia moglie ci siamo trasferiti qui ad Arezzo nel 2006 e abbiamo scoperto che c’erano delle tipografie che stampavano ancora con caratteri mobili in legno. Da lì a qualche anno, nel 2009, abbiamo indetto il primo corso di tipografia al quale parteciparono in molti, tanto da creare delle liste di attesa dopo il limite massimo di 15 iscrizioni, non ci aspettavamo questi numeri, anche se al tempo non c’era nessuno che facesse una cosa simile. Per i successivi tre anni abbiamo invitato un tipografo americano, Amos Kennedy, per i corsi che duravano una settimana. Successivamente, date le numerose richieste ai corsi, si è cimentato Paolo Lazzarelli, che abbiamo conosciuto proprio all’inizio del nostro approccio a questa tecnica tipografica. È con Paolo che mi sono appassionato alla tipografia e una volta venuto a mancare ho raccolto l’eredità di un progetto che avevamo entrambi in mente: atipicapress, è nata così, dopo questa successione di eventi.»
Cosa significa stampare a caratteri mobili in legno?
«È una cosa fisica, mi piace perché lavoro con le mani e questo richiede sempre un approfondimento tecnico su quello che stai facendo. Ad esempio, è molto differente come avviene nel mondo del design per cui si crea un layout di base e da lì parte il lavoro, io questo non l’ho mai fatto, non esiste per questo tipo di stampa.»
La tua è una tecnica ormai poco usuale e al di fuori dei parametri tradizionali della stampa, è difficile sopravvivere al giorno d’oggi perseguendo questa scelta?
«È impossibile fare un mercato con questo tipo di stampa. Da un certo punto di vista sono cose quasi imparagonabili: da una parte c’è una vendita in serie di copie identiche l’una all’altra con macchine tecnologiche che elaborano una stampa da un’illustrazione, dall’altra invece c’è una stampa imperfetta, è questo l’elemento che mi piace. Non a caso, a livello internazionale esiste un gruppo, Bad printing, che persegue l’intento di “stampare male”, di fare delle cose che non siano rifare il tradizionale e una produzione di serie ma opere uniche. Stampiamo con macchine manuali e inchiostriamo a mano, questo fa sì che ogni poster non sia mai uguale. Lo faccio per la parte creativa e del messaggio, perché voglio sentirmi coinvolto in ciò che vorrei dire o nel mostrare un mio pensiero, una mia idea.»
A proposito, un manifesto ha sempre creato legami profondi con la società. Cos’è per te?
«Il gioco che utilizzo spesso è sdrammatizzare il carattere con il messaggio stesso, in questo l’inchiostro è fondamentale, il colore è importantissimo. Da sempre un manifesto ha legami fortissimi con la società, per esternare un pensiero e forse anche per influenzare gli altri. Pensa se un poster 6×3 m invece di essere utilizzato per propaganda politica fosse utilizzato per tutela dell’ambiente o qualsiasi altro tema sociale… Le parole non sono semplici da maneggiare, molte volte prima di stampare devo digerire la storia di ciò che voglio scrivere. Il manifesto riflette sempre il periodo politico e ora siamo arrivati ad un punto in cui si tradisce la storia stessa del manifesto perché se non ritenuto “legale” rischi tantissimo, ecco perché utilizzo il mio portone come vetrina.»
Quali sono gli strumenti che usi e com’è organizzata la tua stamperia?
«Non è una stamperia classica, anche per questo “atipica”. Una normale tipografia è organizzata per produrre in serie, io invece ci gioco con questi strumenti, dal torchio ad altri macchinari. Siccome esistono due altezze differenti per la stampa, una italiana e l’altra francese, ho una macchina per ognuna. Le lettere in legno hanno almeno 100 anni di lavoro alle spalle, ho quasi tutto materiale di recupero. Tecniche e utensili sono quelli tradizionali ma siccome non produco in serie faccio poche copie, e ognuna per quanto uguale a quella precedente è sempre differente, ogni stampa è un’opera a sé. Tante volte faccio anche solo una copia, perché magari frutto di sperimentazioni o difficilmente replicabile, oppure solo perché voglio che sia una e unica.»
Oltre a produrre le tue stampe, organizzi workshop?
«Lo scorso anno presso Caserma Archeologica di Sansepolcro ho realizzato una mostra di tre mesi e un workshop, l’unico problema è stato quello logistico, i macchinari non sono per niente leggeri. Qualche settimana fa, sempre nello stesso luogo, c’è stato un corso con 17 partecipanti provenienti da tutto il mondo e si avvierà un ciclo. Ad Arezzo ho provato diverse volte a portare a termine dei progetti ma non sempre ho trovato pieno appoggio tanto da concretizzare le proposte fatte. Tra le più importanti c’era un’idea portata avanti insieme a mia moglie Monica Dengo, quella di aprire una scuola di calligrafia con lo studio dello storico e del moderno, che si è concretizzata a Venezia.»
“Mistificazione culturale” è una sorta di tuo slogan, perché? Cosa significa?
«Perché è ciò che abbiamo vissuto ed è ancora in atto una mistificazione culturale, lo dice la parola stessa: una distorsione della verità e della realtà dei fatti che ha come effetto la diffusione di opinioni erronee.»
di CARLO MARTINO
atipicapress.com
IG: @atipicapress
Classe 1992, nato a Cori, un paesino che nessuno conosce. Sono laureato in Storia dell’arte e proprio a Firenze, città “culla del Rinascimento”, decisi di specializzarmi in arte contemporanea. Mai nessuna scelta fu così tanto azzeccata. Sono presidente di un’associazione culturale no profit con la quale organizziamo eventi e mostre d’arte contemporanea. Nutro una passione nell’origliare i commenti delle persone relativi alle opere d’arte allestite nei musei. Oltre a questo amo i libri, il rock, lo sport, l’improvvisazione teatrale. Mi piace molto anche il whiskey (se bourbon meglio).