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Al passo del più lento

Gli aretini Alfredo e Giulia hanno affrontato la Via degli Dei, un cammino impegnativo e bellissimo che gli ha fatto vivere una grandissima esperienza soprattutto emotiva

Ero convinto che la fatica del cammino mi avrebbe aiutato ad espiare il mio dolore. Mio padre era morto in estate dopo una malattia che lo aveva costretto ad un lungo calvario e io avevo sofferto con lui in quel girone infernale che purtroppo è finito nel peggiore dei modi. Per questo mi ero detto, ok parti, fai il tuo primo vero trekking, cammina, suda, fatica, dormi sotto le stelle e vedrai che tutto questo ti aiuterà a guarire. Era il 2021, ma per varie vicissitudini, non sono riuscito a partire prima di quest’anno. E sono molto contento che sia andata così (doveva andare così…) perché sarei partito con la mente annebbiata da tantissimi sentimenti negativi, come rabbia, tristezza, bisogno di scaricare le mie frustrazioni. E credo che questa sia la cosa più sbagliata da fare, affrontare un cammino con il rancore nel cuore…

Inizia così la nostra chiacchierata con Alfredo Cerofolini, aretino che ha intrapreso la Via degli Dei, un percorso di 130 km che attraversa l’Appennino Tosco-Emiliano: partenza da piazza Maggiore a Bologna, e arrivo in piazza della Signoria a Firenze. Il nome deriva dalle due statue del Nettuno situate alla partenza e all’arrivo del cammino, e dai Monti che si incontrano lungo il percorso come Adone e Venere.

Alfredo è partito per la Via degli Dei insieme a sua cugina, Giulia Cangi: “Inizialmente ero scettico perché volevo fare questa esperienza da solo. Pensandoci però mi sono detto che anche condividerla con qualcuno della mia famiglia, amante del trekking come me, sarebbe stato bello e così ho accettato la proposta di mia cugina. L’ho fatta allenare duramente, visto che in fatto di trekking era alle prime armi. La nostra palestra sono stati i sentieri del Casentino; dal Falterona, al Pratomagno, abbiamo battuto moltissimi percorsi della vallata. Le ho insegnato a scegliere l’attrezzatura più giusta, a montare la tenda, le ho spiegato cosa mettere nello zaino e quali scarpe comprare, visto che sono fondamentali per non rischiare di doversi ritirare molto prima della fine del cammino. Ci siamo preparati insieme ad affrontare questo percorso e ogni volta che ci allenavamo ero sempre più convinto del fatto che fare trekking in compagnia fosse stata senza dubbio la scelta migliore. Inoltre, era passato un po’ di tempo dal lutto che avevo vissuto qualche anno prima e iniziavo a farci i conti; ero pronto a partire con sentimenti diversi, senza rabbia o nervosismi, ma con la promessa che avrei portato a termine la Via degli Dei per i miei genitori, che l’avrei fatta per loro, ma anche per me stesso, per stare meglio e ritrovarmi.

Giulia, tu invece perché hai deciso di partire per questa avventura?
«Volevo mettermi alla prova sia fisicamente che mentalmente. La mia idea iniziale era quella di percorrere il Cammino di Santiago, ma ragionandoci ho pensato di partire da un percorso più vicino, più corto e sicuramente più “facile”, anche se è stata un’esperienza molto bella e impegnativa. Facile è un aggettivo riduttivo che non rende giustizia a tutto quello che abbiamo vissuto insieme ad Alfredo e ai ragazzi che abbiamo conosciuto strada facendo. Mio cugino mi ha letteralmente preso sotto la sua ala, aiutandomi con la preparazione del viaggio, dalla scelta del percorso, alle scarpe da comprare, all’allenamento nei boschi del Casentino, fino a darmi delle dritte importantissime per reggere i giorni di trekking soprattutto di testa. A livello emotivo ero carichissima, anche se ero terrorizzata dal meteo, visto che le previsioni davano pioggia ogni giorno. Stavo quasi per non partire, ma poi per fortuna ho messo da parte le mie insicurezze, aiutata anche da Alfredo, e sono andata… Ed è veramente stata una delle esperienze più belle della mia vita!»

 

Alfredo cosa hai provato i giorni prima di iniziare il cammino? Hai mai pensato di non partire?
«No, non ho mai pensato di non partire, perché la motivazione che mi ha spinto era davvero forte. Lo avrei fatto per i miei genitori, per ripercorrere simbolicamente quello che avevano vissuto durante la loro malattia. Non ho mai mollato, come non hanno mollato loro; attaccati alla vita fino alla fine, sono sempre andati avanti nonostante tutto, nonostante il dolore. E così ho fatto io…

Mi sono preparato a lungo per la Via degli Dei; una preparazione fisica, ma soprattutto psicologica, perché spesso in montagna ancora prima delle gambe è la testa ad abbandonarti. La lucidità mentale è tutto e ti permette di non cedere alla fatica, agli imprevisti, al caldo, al freddo, ad un temporale, al dormire fuori, nel bosco, di notte. Se sei pronto, capace di accogliere e vivere tutto questo con fermezza, vedrai il cielo come non lo hai mai visto e vivrai esperienze ed emozioni che non avresti immaginato. Dovevo tenere botta anche per mia cugina, sia per incitarla durante il cammino, sia per aiutarla in momenti delicati come la notte; non aveva mai dormito all’aperto e ad ogni rumore, ad ogni fruscio proveniente dal bosco le saliva una grande ansia.»

Quanti giorni di cammino e quanti km avete affrontato?
«Inizialmente la “nostra” Via degli Dei doveva durare cinque giorni per un totale di 130 km, però un ragazzo che abbiamo conosciuto alla partenza ce l’ha sconsigliato perché così organizzato, il percorso avrebbe previsto un’ultima tappa molto lunga, forse troppo estenuante visti i giorni di cammino precedenti. In realtà poi ci ha pensato la montagna a ridefinire i nostri piani perché il secondo giorno siamo stati colti da una tempesta e abbiamo avuto necessità di dormire in hotel per una notte.

Questo cambio di programma è stato utilissimo non solo per una questione logistica (asciugare i nostri vestiti, riposarci e ristorarci in un posto caldo e tranquillo), ma soprattutto da un punto di vista psicologico. Durante il temporale una ragazza che si era unita a noi ha avuto un attacco di panico e per tutti è stato un momento davvero difficile da dover affrontare. Io (Alfredo) sono riuscito a tenere su il gruppo, ad aiutare chi era in difficoltà, ma anche a spronare tutti a continuare. Riposare una notte in albergo è stato utile per ricaricare le batterie, fare un bel respiro e ripartire ancora più carichi la mattina successiva. Ricalibrare il viaggio, andare più piano, rallentare è stato essenziale e senza dubbio una dei grandi insegnamenti di questo cammino.»

Alfredo che cosa hai pensato durante i giorni di cammino?
«Questo cammino mi ha portato un flusso continuo di pensieri; ho perso spesso il senso del tempo, non sapendo che giorno della settimana fosse. I problemi “di qua” li ho totalmente dimenticati ed ho vissuto sei giorni in totale assenza di tecnologia. Mi connettevo solo la sera, giusto per fare qualche chiamata o controllare i social. L’idea era proprio quella di isolarsi e “spegnere” ogni dispositivo (tranne il GPS ovviamente che era indispensabile anche per una questione di sicurezza), passando del tempo con le persone che erano con me in quel momento, connettersi con loro realmente, senza smartphone tra i piedi. Mentre camminavo ho pensato moltissimo ai miei genitori; ero molto determinato; per me si è trattato di un vero e proprio cammino spirituale, nel senso laico del termine, che mi ha portato a rendere omaggio ai miei genitori. Ho fatto tutto questo andando piano…»

“Al passo del più lento”, citando Zerocalcare…
«Esatto. Inizialmente ero partito con tutta un’altra mentalità; spingevo moltissimo soprattutto nelle salite e avevo staccato tutti. Poi mi sono detto, ma perché lo fai? Che gusto c’è? Quale record devi battere? Allora mi sono fermato, ho rallentato. Ed è stata proprio la montagna a rimettermi in riga… La salita al Monte Adone, che non è poi così impegnativa e sicuramente ne ho affrontate di peggiori, mi ha veramente messo in crisi; l’ho accusata tantissimo e sono arrivato in cima stremato. La montagna aveva iniziato a mettermi ansia, mi sembrava di camminare da una vita ma avevo fatto solo 100 m. Così una volta finita quella enorme fatica mi sono detto che correre non mi sarebbe servito a nulla. L’ho scritto anche nella mia “Lezione del giorno” quella che sentivo il bisogno, ogni sera, quando accendevo il telefono, di condividere, di esternalizzare, di buttare fuori; non tanto per avere un like ad una foto, ma perché le emozioni che avevo provato camminando erano talmente forti e talmente belle che mi risultava impossibile non raccontarle, non scriverle…

Oggi il tempo ha provato a fermarci. Ascesa al Sasso Rosso, inizia una vera e propria tempesta con tuoni, fulmini e raffiche di vento fortissime. Possiamo solo andare avanti. Tra fiumi che ci vengono addosso dalla cima, raffiche di vento, fulmini, urliamo. Ci diamo la carica, la paura diventa adrenalina, l’adrenalina diventa coraggio. Scolliniamo tutti insieme e a fine tempesta lanciamo grida liberatorie per esorcizzare la paura di poco fa.
Volevo andare da solo, ho trovato un gruppo di amici per caso, ma fratelli per sempre. Complice la carica ho bruciato le salite, poi qualcosa mi ha detto: lascia perdere i record personali e l’agonismo, vai al passo del più lento, perché si parte insieme e si ritorna insieme. E così è stato.
”»

Cosa ti ha lasciato la Via degli Dei?
«Per me montagna è condivisione, aiuto, ascolto, solidarietà; tutte cose che nella società si sono totalmente perse. Pensiamo solo a produrre, ad andare veloce, a superare limiti, essere sul pezzo, passando sopra a tutto e tutti se serve. In montagna se vedi una persona in difficoltà sei più propenso ad aiutarla. Anche salutare viene più facile, tendere una mano, cedere il passo a chi è in salita e sta facendo la sua fatica. C’è una dimensione più umana e soprattutto la montagna ha la capacità di ricordarci che con la Natura non si scherza e che la nostra presunta supremazia è solamente un’illusione.

La Via degli Dei è stato il primo di 4 step che voglio affrontare nei prossimi anni; nel 2025 ho in programma di percorrere l’Alta Via 1 delle Dolomiti, poi sarà il turno del tour del Monte Bianco e infine, per i miei 40 anni, mi regalerò il “trekking della vita” al campo base dell’Everest.»

di MELISSA FRULLONI

Melissa Frulloni
MELISSA FRULLONI

Vegetariana militante. Animalista convinta.
Femminista in prova. Cresciuta con il poster di Jim Morrison appeso alla parete.
Romanticamente (troppo) sensibile e amante della musica vintage.
Una laurea in giornalismo, un cane, mille idee e (a giorni alterni) la sensazione di poter fare qualsiasi cosa…

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