Il 15 Ottobre 2024 il Senato ha approvato il reato universale di gestazione per altri. La nuova disposizione diventa appendice dell’Art.12, Legge n.40/2004, che già rendeva illegale la GPA, estendendo il divieto anche a chi ricorre a questa pratica fuori dall’Italia. In molti paesi del mondo la gestazione per altri è una pratica legalizzata e tutelata, ragion per cui non c’è modo di sapere come questa norma verrà applicata dalla Magistratura. Quello che sappiamo con certezza è che si tratta dell’ennesimo attacco ai diritti civili e, in termini propagandistici, alla comunità LGBTQIA+ e alle donne.
La GPA, come tutte le altre pratiche di procreazione assistita, si inserisce naturalmente nel contesto dei diritti riproduttivi delle famiglie omogenitoriali ed è importante parlarne nel dibattito; ma i dati che abbiamo ci dicono chiaramente che il 90% delle coppie che ricorrono a GPA sono eterosessuali.
La GPA, come qualsiasi altra prestazione che prevede un contratto, ci pone di fronte a una riflessione economica: il corpo è vendibile?
Premettendo che nel mondo la maggior parte delle gestazioni per altri avviene in maniera altruistica, quindi senza compenso, la risposta è sì; esattamente come viene venduto un qualsiasi altro lavoro di tipo fisico, dall’edilizia al personal training. La differenza si trova nella quantificazione monetaria di una gravidanza, del tutto arbitraria perché – ad oggi – impossibile da regolamentare senza un dibattito etico: tu non paghi il figlio, paghi la persona con utero che ha deciso di intraprendere questo percorso.
E mentre nella bolla dell’attivismo e della woke culture si solleva la questione, dall’altra parte troviamo qualcuno che ha deciso per noi: se già le pratiche di gestazione per altri erano esclusive, perché incredibilmente dispendiose e complicate, adesso chi vi fa ricorso rischia un processo per direttissima.
Parliamo anche di diritto all’aborto: in Italia nonostante il garantismo costituzionale, 2 ginecologi su 3 esercitano la propria libertà individuale di obiezione di coscienza, impedendo alle donne, per motivi totalmente personali, di interrompere la gravidanza, ponendosi al centro della scelta, ostacolano un diritto collettivo.
È importante occupare lo spazio del dissenso e utilizzare il proprio personale come argomento di opposizione politica, ma ha senso contrastare un’oppressione utilizzando la stessa strategia personalista del “il corpo è mio e decido io”? Non potremmo, forse, riconoscere che il tema della GPA racchiude l’esigenza di porsi domande più profonde del dicotomico “giusto-sbagliato”?
Quando propaganda, posizionamento, misoginia e omofobia diventano argomentazioni più convincenti dei valori democratici, la colpa individuale si trasforma in responsabilità collettiva, e rendere accessibile il dibattito a chi non ha gli strumenti per salvarsi dal luogo comune diventa un dovere morale. Soprattutto per il Femminismo.
a cura di GLORIA GORI
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