“Parli come un’adulta, ma si vede che ti ricordi di quando avevi la mia età! “
Avrei voluto chiedere da cosa si vedesse, ma sarebbe stata una domanda che avrebbe “rotto” quel momento. Mi son fermata li. Però dopo me lo sono chiesta ed ho cercato la risposta tra le righe della narrazione delle sedute successive. Mi chiedo spesso come può la società, il mondo degli adulti, aprire uno spazio di comunicazione con questa fascia di età che ha molto bisogno di essere vista. E di essere vista come una risorsa, un tesoro prezioso, come quello che è: il futuro.
Nel racconto comune, gli adolescenti sono descritti come complicati, faticosi e destabilizzanti “quanti anni ha tuo figlio? 14? Ahhh, auguri allora!”.
Trovo molto più corretto parlare di Adolescenza più che di adolescenti. Le persone sono uniche ma attraversano fasi che le accomunano. Chiara, Marco, Giulia, Elia, sono diversi tra loro, ma attraversano tutti il caos emotivo di un’età dove la vita sociale ruba il posto a quella privata, domestica, familiare. Una fase meravigliosa, un periodo di vita fatto di tante scoperte. Queste scoperte hanno effetti su tutti; sui ragazzi, sui loro genitori, sui familiari, sulla scuola, sull’intera società.
Ma perché spaventa così tanto? Cosa c’è di così difficile in questa età? E soprattutto per chi è così difficile?
“Avrei anche voglia di parlare di me, ma di quello che voglio io, mia mamma invece vorrebbe che le dicessi tutto, le mezze confidenze le vive come mancanza di fiducia, come se le volessi fare del male, la volessi ferire. E allora ho smesso di parlare anche di quelle mezze cose”.
“Perché non posso avere un mondo tutto mio? Mi soffocano”.
“Ho sempre portato i capelli lunghissimi, mio padre non voleva che li tagliassi. Continuava a trattarmi come una bambina e io invece non mi sentivo affatto una bambina. Allora lo scorso anno sono andata dal parrucchiere con mia nonna e me li sono tagliati a caschetto. Lui quando mi ha vista la sera mi ha detto “oddio cosa hai fatto? Non ti riconosco più.” Mi sono sentita bene. Mia nonna l’ha guardato e gli ha detto “ti presento tua figlia grande”. Per essere vista più grande ho dovuto tagliare un po’ i capelli e un po’ con lui”.
Non vi propongo le risposte che ho trovato, ma delle domande perché ognuno possa trovare la propria: siamo in grado di mettere in atto una danza tra accoglienza e norma, tra cambiamento e stabilità? Dentro a questa relazione chi può mantenere uno sguardo lungo e chi si può concedere di stare sul “qui ed ora”? Riusciamo a vedere il mondo attraverso gli occhi dell’Altro o ci fa paura che l’Altro non veda quello che vediamo noi? Possiamo interpretare i confini come spazi sani da proteggere o riusciamo a vederli solo come muri ostili? Cosa significa per noi accettare il cambiamento dell’Altro?
“Non è mai troppo tardi per vivere un’adolescenza felice” anche attraverso gli occhi di chi c’è dentro fino al collo.
Benedetta Ricci | Psicologa Psicoterapeuta Ipnoterapeuta
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