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Appunti e fumetti sulla nostra vita

Due chiacchiere con il fumettista aretino Lafabbricadibraccia alla scoperta della sua arte e dei suoi messaggi

Chi ha vissuto la propria infanzia ad Arezzo non può non ricordarsi delle famose “mucchine” del Parco Giotto, emblema della città ancor più della Chimera e indiscusse protagoniste dell’ultima cover di The Aretiner, realizzata dal fumettista aretino Lafabbricadibraccia (aka Federico Ciacci).
Perciò se anche voi siete degli inguaribili nostalgici e volete sapere qualcosa di più sull’artista del mese, vi consiglio di spendere qualche minuto del vostro tempo per leggere questa intervista.

Quando e come nasce il progetto Lafabbricadibraccia? E da dove salta fuori questo nome così particolare?
«Tutto risale all’inverno di circa dieci anni fa: avevo finito l’università da un po’ e per procrastinare la decisione su che forma dare alla mia vita ho iniziato a pubblicare su Facebook i primi disegnetti, principalmente giochi di parole. Il nome in realtà deriva dall’idea di mettere su un gruppo post hardcore – una roba tipo i Refused, tanto per capirsi; questo progetto tuttavia non ha mai visto la luce e così ho utilizzato Lafabbricadibraccia per la pagina Instagram dedicata alle illustrazioni. Più che un nome d’arte lo definirei un nome di battaglia, visto che per moltissimo tempo disegnare è stato un continuo conflitto con me stesso.»

Parlaci del tuo lavoro e dell’evoluzione del tuo percorso come illustratore. Ci sono artisti a cui ti ispiri?
«Devo dire che come percorso è stato abbastanza caotico e parlo al passato perché credo di aver capito da che parte voglio andare soltanto di recente. Dopo il Liceo Scientifico mi sono iscritto alla Facoltà di Psicologia: questo significa sia che ho dovuto gestire da solo tanti dubbi, incertezze e frustrazioni, senza una guida da seguire o un mentore che schiarisse i miei momenti bui, sia che non ho alle spalle un percorso di studi legato al mondo dell’arte. Ho pensato spesso di smettere di disegnare e invece, alla fine, non ho mai mollato: al tempo lavoravo come educatore per il servizio sociale di Firenze (perché insomma, la creatività è bella, ma la spesa alla Coop di più!) e nel frattempo realizzavo murales e illustrazioni. Per alcuni anni ho collaborato con una rivista di Firenze e ho pure fatto il tatuatore. In questo momento, invece, curo la comunicazione di un festival di gravel che si chiama SterroAppalla, lavoro privatamente come psicoterapeuta e il tempo che rimane lo dedico ai miei progetti personali. Le illustrazioni che realizzo sono brevi storie a fumetti che condivido sul mio profilo Instagram; inoltre sto lavorando ad una storia più lunga e strutturata, a cui tengo davvero moltissimo e che spero di poter pubblicare prima o poi sotto forma di graphic novel. Per quanto riguarda le mie fonti di ispirazione, direi soprattutto Zerocalcare, Manu Larcenet, Liniers e Mike Lowery.»

Alcuni mesi fa è uscito il tuo primo libro Polaroid. Ti va di raccontarci qualcosa al riguardo?
«Per dirla con le parole del nostro concittadino Lorenzo Palloni – che ha scritto la prefazione del libro (e realizzato la cover #16 di The Aretiner n.d.r) – Polaroid è una raccolta di foto disegnate: il libro cattura momenti della quotidianità di tanti personaggi tra loro diversi, ma accomunati dal semplice fatto di esistere. Può trattarsi di episodi comici al limite dell’assurdo, ma anche di momenti amorevolmente commoventi o tristissimi. In fondo, così è la vita, no?
L’aspetto più interessante di questo progetto – e a cui non avrei mai lontanamente pensato – è stato rendersi conto di come perfetti sconosciuti si riconoscessero in quelle storie, tanto da scrivermi “questo sono io”.»
C’è una vignetta e/o un personaggio dei tuoi fumetti a cui sei particolarmente affezionato?
«Sono molto legato alla vignetta che rappresenta la ragazza con un gatto. È nata come illustrazione “domestica” fatta per una persona in particolare (e anche per un gatto) e successivamente diventata una polaroid. Tengo molto a questa illustrazione, sia perché mi piace come funziona visivamente, sia per la storia che racconta e perché ogni volta che la guardo mi ricorda il momento in cui l’ho disegnata.»
Grazie a IG, ho scoperto che fai parte del gruppo punk Lo scontro quotidiano. A parte l’evidente richiamo nel nome all’omonima opera di Manu Larcenet, esiste per te un legame particolare fra musica e fumetti?
«Sono cresciuto ascoltando gruppi come Nofx, Operation Ivy e Rancid e credo che sul finire degli anni ’90 ad Arezzo fossimo in pochissimi ad ascoltare musica punk. Durante il periodo delle superiori ognuno aveva il suo gruppo (io ho cantato nei Punkololio e negli Stomachache) e la sezione del Vieri dedicata al punk e all’hardcore era il nostro santuario. Inoltre per un periodo ho realizzato le locandine per le serate organizzate al CSA Next Emerson dal Collettivo Nuovi Rumori, di cui facevo parte. A parte il fatto che Lo scontro quotidiano di Manu Larcenet è uno dei miei fumetti preferiti, penso che l’elemento comune a musica e fumetto sia la possibilità di mettersi in gioco anche se non si è troppo “studiati” e senza chiedere troppi permessi. In questo momento ascolto tantissimo, soprattutto quando disegno e cucino Ludovico Enaudi, Andrea Laszlo de Simone e i Rancid.
Punk never dies!»

di AGNESE ANDREONI

FB: Lafabbricadibraccia
IG: @lafabbricadibraccia

Agnese Andreoni
AGNESE ANDREONI

Classe 1993, osservo ciò che mi circonda attraverso la mia macchina fotografica. Leggo tanto e a volte provo anche a scrivere.
Mi piacciono la musica (soprattutto quella punk), il mare, le lunghe camminate e i gatti.

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