WEARE è da sempre rete locale, che connette provando a far (ri)saltare anche chi i confini locali poi li lascia, affermandosi più ad ampio raggio. Perché non farlo anche col collega giornalista Alessandro Berrettoni, ormai inseritosi in una redazione alternativa, indipendente e scomoda su scala nazionale come Dagospia? Che gli aggettivi appena elencati li sentiamo affini, è cosa nota. Se poi un conterraneo originario di Lucignano, può aprirci una finestra diretta su questo suo intrigante approdo di nicchia e sul percorso che l’ha condotto dalla provincia aretina alla stesura di articoli nell’armeria giornalistica più irriverentemente affilata d’Italia, non possiamo che gettarci gli occhi di volata. Di seguito quindi una storta cronaca di un cronista errante e votato inesorabilmente alla causa, catturato in un raro momento di pausa dall’inarrestabile fabbrica di rielaborazione della notizia in cui mette quotidianamente testa, cuore e penna.
«Sin dai tempi del Liceo, ho avuto chiaro l’obiettivo di diventare giornalista. Con precise tappe già rigorosamente inquadrate e stabilite alla consapevole età di 17 anni… Infatti poi la vita va anche per direzioni sue, ma il fine è sempre stato chiaro. Mi sono quindi buttato a capofitto già nel primo assaggio di mondo professionale durante il mio stage universitario, contattando la TV locale Linea Uno di Castiglion Fiorentino e facendo, una volta riuscito ad entrare, letteralmente tutto. Andavo in onda per i telegiornali, facevo le riprese, le interviste, la stesura dei servizi. Uno stage estremamente formativo e anche divertente, che infatti è diventato un inizio di carriera durato tre anni. Diventato dopo i tempi tecnici giornalista pubblicista, lo step successivo che mi ero posto era diventare professionista. Chiusa la via del praticantato, imbocco la scuola di giornalismo della LUISS, dopo una magistrale presa soprattutto per le molte paranoie che mi facevo io in testa, in assenza di raccomandazioni, conoscenze o simili.
Alla LUISS sono poi in realtà entrato subito, uscendone innanzitutto con la mia compagna Micol Flammini, anche lei giornalista, oltre che con altre due esperienze di stage in tasca. La prima a Radio Rai, tappa radiofonica che nel mio rigoroso percorso mentale era imprescindibile. Ho trovato un ambiente di super professionisti ma asettico, stagnante. Non certo a livello di professionalità, ma per possibilità di esprimerla. La ricordo comunque come un’esperienza positiva: scrittura all’alba dei GR mattutini, con approdi da zombie a Saxa Rubra e orari al contrario. Montaggi audio, interviste…
Clima un po’ scolastico in un certo senso, da lavoro perennemente in correzione e mai in diretta esposizione, ma bei ricordi e insegnamenti di approccio al lavoro da portarsi con sé. La seconda, che nella mia testa doveva essere nuovamente televisiva, è invece stata alla redazione del sito web de Il Messaggero.
Lì ho trovato ritmi più miei, in tre mesi molto divertenti, dove in turni che coprivano tutta la giornata seguivo notizie ed agenzie spaziando veramente su tutto, visto il taglio molto generalista e catchy della testata. Prime prove di flusso continuo, che avrei poi ritrovato una volta entrato a Dagospia.
Con effetti per certi versi devastanti sulla mia testa, ma questa è un’altra storia! Termino poi la scuola, cominciando la vita lavorativa giornalistica vera e propria con una breve esperienza presso il sito web de Il Foglio, approdando infine nella redazione di Dagospia, dove dopo il periodo di prova rimango con l’attuale tanto agognato contratto da giornalista pro. Un altro mondo, in tutti i sensi. Se al 17enne consapevolissimo di aver tracciato la propria rotta avessero proposto ciò, come minimo avrebbe riso, presuntuosamente preso da future vocazioni da reporter teoricamente più alte. In realtà, da grande e interno scopri che è meglio il giornalismo fatto alla Dagospia, a voce alta sì, ma in modo realmente indipendente rispetto a tanto altro, se non tutto. Uno dei nostri mantra è che “bisogna menare tutti”.
Questo è ciò che rende veramente liberi, non avere il padroncino di questa o quell’altra parte, ammesso che ne siano rimaste. La redazione in cui mi trovo è perfetta per me, per intensità e varietà nell’elaborazione dell’informazione. Se a me chiedessero di cosa mi piace parlare, risponderei: di politica! Aspetta però, anche di economia, di musica; in sostanza il tutto è la mia non-specializzazione! Questa mia caratteristica tematicamente fluida, unita anche alla non particolare predilezione per uno specifico medium, mi ha in realtà sempre messo paura per il futuro, in un mondo pieno di professionisti iper-specializzati.
A quanto pare però il mio percorso doveva proprio finirci, nel posto giusto. Dago lo chiama un bollettino d’informazione quotidiana, a me piace vederci un frullatore, non perché distrugge ma perché mette insieme, creando un qualcosa di diverso dagli ingredienti che c’erano. C’è poi spazio mentale e di espressione: è una nicchia al di fuori da un mondo giornalistico in cui ormai non si parla più male di niente, dove ormai le manifestazioni di interessi da parte di tutti gli attori in gioco hanno schiacciato racconto e informazione sinceri. La quantità d’informazioni, votata all’intrattenimento, ha già eliminato i cosiddetti sistemi esperti, creando un grande mare da cui doversi salvare con lo spirito critico, per chi ha la fortuna di averlo e di mantenerlo, leggendo chi quel mare d’informazioni lo interpreta, senza guinzagli.»
Quella di Alessandro Berrettoni è una storia di vocazione e dedizione, di demone giornalistico declinato nel suo habitat naturale. Una storia che è una via crucis al contrario, famelicamente gioiosa e dotata di finale alternativo, con tanto di croce bruciata in un sabba informativo che cavalca il flusso e lo alimenta, ricreandolo. Un flusso a tappe, che appaiono solo superficialmente come quelle di una pallina di gomma impazzita. La pallina una rotta ce l’aveva e ce l’ha, ben nitida, per quanto non sempre lineare. A noi conoscerla e raccontarla ricarica, se mai ce ne fosse stato bisogno, i serbatoi della voglia di farvi leggere ciò che ci contorna con il nostro sguardo. Crediamo possa, per tutti, ricaricare anche la voglia di informarsi, seguendo chi con vera passione informa. Leggendo, approfonditamente e criticamente, e soprattutto non solo i titoli.
di ALESSIO FRANCI
Credits Micol Flammini
IG: @aleberre
Musicomane innamorato di ogni applicazione del linguaggio. Cerco storie e suoni che mi facciano vibrare tanto ad ascoltarle, quanto a raccontarle. Osservo, rifletto, percuoto, vivo. Mi muovo per il mondo senza filtri e senza la pretesa di trainarlo, col solo obiettivo di conoscerne ed apprezzarne le sfumature più o meno armoniche.