“Penso che possa essere utile. E poi mi piace. Mi piacciono i gruppi di scrittura e mi piacciono le storie e in carcere ci sono storie interessanti.”
Psicoterapeuta, scrittore, didatta, Andrea Bocconi frequenta da tempo il carcere di Arezzo. “Soltanto in qualità di scrittore” – ci tiene a chiarire: il lavoro psicologico con i detenuti compete ai professionisti della Casa Circondariale.
“Conoscevo una persona che aveva fatto il militare con me. Lo riconobbi tra gli attori detenuti del Don Chisciotte di Pedullà.” Stiamo parlando del 1998. “Lo andai a salutare e lui mi chiese di andare a fare qualcosa nel carcere, mi presentò al direttore. È abbastanza buffo, no, essere presentati al direttore della Casa Circondariale da un rapinatore?”
Così, alle soglie del Duemila, Bocconi porta in carcere il primo corso di psicosintesi. La sua attività di terapeuta si iscrive infatti in questa prassi psicologica, dove la “sintesi” è quella di una fase successiva al momento analitico, in cui l’individuo svolge un ruolo più attivo.
“Io ho cominciato a usare l’autobiografia perché avevo frequentato un corso su questo tema durante un festival letterario, ed era stato più potente di un gruppo psicodinamico. È interessante non usare categorie psicologiche, perché così c’è una grande fluidità dell’espressione. Non c’è il limite del volersi presentare in un certo modo, è la penna che decide. Ed è quello che dico loro: lasciatevi scrivere.”
La scrittura diventa, così, non terapia ma auto osservazione. “Scrivere di sé ha una funzione catartica, anche perché ci sono dei confini: se io scrivo di un mio trauma, ma ho davanti un foglio e utilizzo un mezzo espressivo, in qualche modo lo contengo. È un mezzo di crescita personale.”
A vent’anni da quell’esperienza, lo scorso autunno, Bocconi, che continua a lavorare con gruppi di scrittura, ha completato un nuovo ciclo di lezioni all’interno della Casa Circondariale. Nel mio percorso di comprensione di questa realtà, mi mostra alcuni degli scritti realizzati nel primo ciclo e, tra aneddoti e riflessioni, spiega come funziona il lavoro che spera di continuare anche l’anno prossimo.
“Ognuno legge le proprie cose ad alta voce, è un lavoro collettivo. Fa capire che si è tutti sulla stessa barca, la terapia di gruppo nasce per questo. Ed è una delle cose che mi ha più colpito in questo lavoro: il rispetto del gruppo. Dico loro che è utile mettere su carta le cose che hanno dentro, e che delle ricerche dimostrano come fare questo alzi addirittura il livello immunitario. E poi la faccio molto semplice: è un’ora diversa dalle altre. Se siete stati bene in quest’ora, dico, se siete stati interessati, è un’ora buona in carcere.”
di VIVIANA RIZZETTO