1982: gli Amaranto travolgono la Paganese per 4-1 e conquistano una storica doppietta, dopo il successo in Coppa Italia della stagione precedente. È un’epoca d’oro per il calcio aretino. Non solo. Il distretto industriale cittadino è sulla cresta dell’onda. Pupo partecipa a Sanremo con la canzone “Su di Noi”.
Sono gli Anni ’80, gli anni del kitsch estremo, quando in tavola andavano di moda gusti barocchi e voluttuosi e pure un po’ esterofili che, promossi da ricettari che scopiazzavano la cucina d’Oltralpe, avevano conquistato non solo il mondo della ristorazione, ma anche la cucina di casa.
Ardite interpretazioni di crostacei, variazioni sul tema della gelatina, filettoni megalomani. E poi, panna: panna al posto dell’olio d’oliva, panna nella pasta, sul pesce, con la carne, sopra e sotto ogni dolce. L’inosservanza del “km zero” non deprimeva l’aretino “arricchito”, la colesterofobia era solo un vago presagio.
Anni in cui la margarina era sana e genuina, perché i grassi idrogenati – ancora mi chiedo chi siano – non sapevano dove stessero di casa, e le merendine erano la panacea di ogni male. Sotto Natale, quindi, non ci si poteva certamente aspettare un menù all’insegna della leggerezza; piuttosto, colate di cemento. I salatini di presunta origine tedesca erano uno sfizio insolito, ma mai inappropriato. Il Bitter in vetro, rosso, frizzante e allegro, accompagnava l’apertura di ogni Natale, e per le rape de’ Chiana la mitica spuma.
Morbidezza, tutto doveva essere rigorosamente cremoso e gustoso, un po’ come la maionese: squisita, bionda e morbida. I Paninari guardavano all’America come modello di vita, si assisteva al boom dei piatti pronti, e allora via libera a ingredienti esotici, costosi, elaborati, pesanti e untuosi.
La panna, lo Champagne e la gelatina, le vere star della cucina di quegli anni.
Di origine aretina con contaminazioni montigiane, se penso ai dicembre passati, è impossibile che non mi venga in mente il gattò.
Occorrono uova di qualità, pazienza, saperlo farcire con una buona crema pasticciera e buon cioccolato, una quantità infinita d’amore e soprattutto tanta aretinità.
Così kitsch da leccarsi le dita. Non c’è Natale che non preveda un angolo riservato a questo meraviglioso, soffice, potente e delicato dolce, dove esso possa fare sfoggio della sua goduriosa magnificenza. Passano gli anni, ma lui è il principe delle occasioni importanti, delle cene in famiglia, delle date da ricordare. Una combinazione pseudo-paradisiaca, da rendere quasi inutile qualunque altro dolce.
Alcuni sostengono che sarebbe nato in Umbria, poco importa. Per me nasce in casa di mia nonna, caposaldo della famiglia, che ogni Natale dalla credenza dei liquori faceva apparire una bottiglia rosso rubino dall’etichetta scolorita, custodita gelosamente dietro al liquore all’anice e all’Amaro del Capo. Gocce di elisir di lunga vita color cremisi inzuppavano una base di Pan di Spagna.
Il Natale non è festa senza il gattò: con farcitura alla crema, al cioccolato, ma comunque sia, sempre bagnato all’alchermes!
Tempo di Preparazione: 10 minuti
Tempo di Cottura: 30 minuti
Dosi per: Famiglia
Metodo di Cottura: Al forno
Stagioni: Sempre
Servizio: Nonna
Difficoltà: Per lei facilissimo!
di VERONICA VALDAMBRINI
Stylist, Graphic Designer e Fashion Writer. Fin da quando ne ho ricordo, sono sempre stata attratta da situazioni, stili e differenti tipi di bellezza. Continuamente alla ricerca del nuovo ed alla riscoperta del vecchio, si affiancano a musica Jazz, Portrait Fotografici e cultura giapponese, piaceri e fonti di ispirazione per il mio lavoro e stile di vita.