Questa testata solitamente non si occupa di trattare nello specifico certe tematiche di attualità, ma questo importante momento storico richiede persino a noi di dover approfondire aspetti e situazioni, che riguardano indistintamente tutta l’umanità.
Ho avuto il piacere di poter parlare dell’argomento con Stefano Roti, psicologo iscritto all’ordine della Toscana, specializzando in psicoterapia fenomenologico esistenziale con base a Firenze e volontario privato, il quale offre un sostegno gratuito assieme a tanti altri professionisti.
In cosa consiste il tuo lavoro di volontariato?
«Per quanto concerne questo specifico argomento, parliamo di supporto psicologico: significa offrire una spazio e un tempo dove contenere e sciogliere situazioni complesse e dolorose. Nonostante la situazione riguardi una vasta gamma di persone sto lavorando principalmente con persone che già prima erano state in terapia e che hanno avuto delle ricadute riguardanti problematiche che avevano già affrontato e risolto in precedenza.»
Ci sono differenze rispetto al tuo lavoro abituale?
«La prima differenza sta nell’attivazione dei servizi di volontariato, vista la mole di richieste e le difficoltà economiche generali di chi chiede aiuto. Purtroppo la situazione è molto differente rispetto ai miei standard, perché anche noi psicologi siamo nella stessa situazione di rischio. In questo caso l’empatia è fondamentale per evitare di confluire nel disagio di chi aiutiamo. Spesso le preoccupazioni dei nostri assistiti sono anche nostre e non è facile scindere le due cose.»
Puoi parlarci dei maggiori disagi psicologici che hai riscontrato?
«Nell’ambiente sanitario, il rischio di disagi psicologici è molto alto, in quanto si configura una situazione lavorativa dove la paura di essere contagiati, di diventare untori e la preoccupazione di non fare abbastanza, fanno da padrone. Tutto ciò va unito ai turni massacranti a cui è stato sottoposto il personale sanitario. Per le altre persone, parliamo invece di paura e ansia del futuro: molti hanno perso il lavoro ed in un periodo previrus avrebbero potuto affrontare più facilmente la difficoltà nel trovarne un altro; adesso la situazione è molto più complicata e l’idea di non sapere come cambieranno le cose da qui in avanti, crea non pochi disagi. Possiamo parlare anche di aspettative verso l’ignoto: ci siamo proiettati nell’ottica che, alla fine di questa quarantena, tutto tornerà come prima e per me questa speranza può creare qualche problema, poichè dobbiamo renderci conto che molte cose cambieranno. Personalmente spero che il mondo dopo quest’emergenza sia bello, sicuro e soddisfacente per tutti, ma sarà comunque diverso e dovremo adattarci ad esso.»
Quali conseguenze psicologiche porterà questa emergenza? Ci saranno fasce sociali maggiormente colpite?
«Il punto fondamentale è che siamo stati abituati a spersonalizzare i contagiati vedendoli come numeri, ma anche se è vero che il virus non guarda al portafoglio delle vittime, va considerato anche che l’effetto psicologico della quarantena colpirà specialmente le fasce sociali più svantaggiate. La quarantena si pone come un fattore di rischio, che agirà diversamente per il cittadino in condizioni di isolamento, per quello che ha condiviso una stanza con cinque persone e per quello che non ha potuto permettersi di interrompere il proprio lavoro. Ci sarà un aggravamento di condizioni sociali che già c’erano prima, e che adesso sono state portate allo stremo.»
Come pensi che dovremmo rapportarci al futuro?
«La situazione di pandemia non è prevedibile e il mio consiglio non è di prepararsi a qualcosa di specifico, quanto di abituarsi ad affrontare l’ignoto. Stiamo navigando in acque sconosciute e forse il nostro bagaglio culturale ed esperenziale ci potrà essere più utile della nostra posizione sociale e lavorativa. Oltre a dire che andrà tutto bene, dovremmo elaborare ciò che ci è successo negli ultimi mesi. Siamo agenti del nostro tempo e il futuro si guarda dal presente, non si fantastica come se fossimo un passo in avanti. La mia paura è che la fretta di ripartire ci convinca ad ignorare ciò che è successo e a non elaborarlo con l’attenzione che questo periodo merita.»
Ringrazio Stefano per il prezioso contributo, nella speranza che quest’intervista possa essere anche solo minimamente utile per voi che leggete. Vi auguriamo il meglio.