Non ama essere chiamato professore, non ama essere definito un professionista eclettico. Mario Rotta ama solo ciò che fa. Le sue passioni e la sua lunga formazione, che uniscono in un’elevata erudizione sensibilità umanistica e competenza informatica, lo hanno portato ad essere uno dei massimi luminari mondiali di e-learning nonché fotografo, artista e scrittore. Aretino di nascita ma di sangue fieramente misto, da più di trent’anni è testimone diretto di tutte le principali innovazioni in ambito informatico e tecnologico e di ognuna di esse è riuscito a fare, o almeno a ideare, un trampolino di lancio per una nuova trasmissione del sapere.
Qual è stato il suo percorso formativo e professionale?
«Ho cominciato occupandomi d’arte, mi sono laureato in Storia dell’Arte a Firenze e ho preso due specializzazioni in archivistica e museologia. A metà degli anni ‘80, con alcuni colleghi, fondai una società di consulenza culturale, una cosa all’avanguardia per quei tempi; quando chiudemmo, attorno al ’90, ho tenuto il nome, Ibis (poi Ibis multimedia), e mi sono ritrovato a mescolare le carte. Eravamo agli albori della rivoluzione informatica; frequentai uno dei primi corsi di specializzazione in informatica umanistica, scoprii i primi ipertesti, cominciai a esplorare la dimensione delle tecnologie didattiche, a parlare di online learning e di realtà virtuale. C’era l’entusiasmo e la certezza di essere pionieri di una cosa completamente nuova. In quel periodo, negli anni ’90, ho scritto diversi libri e manuali che sono diventati punti di riferimento, quindi nel 2002 ho insegnato nel primo master di e-learning; collaboro tuttora con diverse università e aziende. Ultimamente mi dedico anche alla fotografia, alla grafica e alla narrativa. Bisogna sempre raccontare e raccontarsi, noi esistiamo e siamo quello che siamo perché siamo stati capaci di raccontarlo in un certo modo.»
Come interpreta le tendenze dell’innovazione, dall’AI ai social network?
«L’atteggiamento dell’informazione nei confronti della tecnologia è sempre stato quello di cavalcare l’onda della moda del momento per poi dimenticarla il prima possibile. La tecnologia non è affascinante perché c’è l’ultimo modello tecnologico ma perché ci permette di aprire finestre su qualcosa di completamente nuovo e innovativo. Bisogna mettere in evidenza tutto ciò che è vero cambiamento. L’innovazione tecnologica è vera solo quando diventa il veicolo del cambiamento. La più grande innovazione di questi anni, l’e-book, è stato volutamente messo in secondo piano, ma questo è una grande rivoluzione in quanto cambiamento del formato della trasmissione della conoscenza; è successo solo altre tre volte nella storia dell’umanità, noi siamo i protagonisti della quarta rivoluzione. Come diceva Platone, il libro è la tecnologia che permette di portare il pensiero del maestro dove gli allievi non possono raggiungerlo e di tramandarlo nel tempo.
Dobbiamo renderci conto che il modello del libro a stampa è un modello culturale, storico, riconoscibile, un modello che si identifica con un percorso culturale ben preciso. L’e-book è un modello diverso che potrebbe espandersi ancora ma viene continuamente ostacolato.»
Nella sua persona si risolve l’eterno conflitto tra cultura umanistica e cultura tecnico-scientifica.
«Ho un vicino di casa molto importante, si chiama Piero della Francesca. Lui ci insegna che si può essere il più grande artista e il più grande matematico, perché lo è stato, del ‘400. Piero ci dimostra che la scienza e l’arte non sono incompatibili, anzi hanno sempre collaborato. Gli artisti sono sempre stati presenti nella sperimentazione. L’innovazione vera non è nella tecnologia in sé, è nei modelli mentali che la tecnologia permette di costruirci. Se cambia i modelli mentali è valida, se no non lo è.»
Cosa pensa del rapporto con l’innovazione delle nuove generazioni?
«Quando si dice “ai miei tempi…” la realtà è che venderemmo l’anima a qualsiasi Mefistofele che venisse a proporci di tornare a quell’età. Non posso che dire che ogni generazione ha le sue caratteristiche, che gli derivano dal fatto di vivere in un contesto che va in determinate direzioni; per poter essere parte di questo flusso bisogna comunque guardare quello che c’è stato prima, riconoscerlo e partire da lì per andare oltre. Oggi il problema vero non è generazionale ma di informazione, che è “schiavetta” di grandi strategie economiche, di megastrutture che capitalizzano trilioni di dollari sul nulla, che hanno tutto l’interesse acciocché il passato sparisca dalla circolazione per proporre quello che viene percepito come se fosse innovativo.
Ma tutta la storia della tecnologia dimostra che la tecnologia è fatta di roba riciclata. Bisogna arrivare a capire qual è la radice profonda di quell’innovazione. L’unica cosa che rimprovero ragazzi è il fatto che troppo spesso etichettano i “diversamente giovani” come gente non in grado tecnicamente di maneggiare questa complessità. Questa non è complessità, è confusione. Non etichettiamo generazionalmente le capacità tecnologiche.»
di GABRIELE MARCO LIBERATORI
mariorotta.com
Laureando in lettere antiche, chitarrista dall’animo rétro, cultore di teatro e storia dell’arte. Ritengo che la conoscenza dell’espressione e del pensiero umani da Omero fino ai giorni nostri sia l’unica chiave per elevare il nostro spirito al di sopra di un vacuo imperante materialismo. Il mio motto è “E l’omo vive”, perché non c’è buona speculazione intellettuale senza un calice di rosso e un piatto di leccornie regionali.