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Ripercorriamo la storia dei murales di Arezzo e vi spieghiamo perché abbiamo tanto a cuore questa meravigliosa e libera forma d'arte

C’era una volta, nel centro di Arezzo, uno spazio che, grazie a un’armonia di linee, geometrie, soggetti e tinte accese, si contraddistingueva fortemente dalla restante monocromia degli intonaci cittadini: era l’area compresa tra l’ex caserma Cadorna, Piazza del Popolo, la Misericordia e i parcheggi di Via Garibaldi.
L’uso dell’imperfetto è d’obbligo, perché rispetto al 2015 (anno in cui venne realizzato l’ormai “ei fu” complesso murale), e ancor prima di allora (quando quelle pareti erano “soltanto” pareti, e avevano la mera funzione di separare edifici), l’assetto urbanistico ed estetico di questo luogo è oggi profondamente cambiato. Nel luglio scorso, infatti, a seguito di una proposta di progetto da parte dell’amministrazione comunale risalente ormai a tre anni fa, e al successivo decreto di svincolo della soprintendenza, parte di quel complesso artistico è stato demolito; un primo “passaggio obbligato” verso un’opera di ristrutturazione e riorganizzazione urbanistica della zona, destinata a ospitare il nuovo Centro per l’Impiego, un centro polifunzionale per i servizi, un parcheggio multipiano e aree verdi, trasformando così – nei fatti – l’ex area del parcheggio Cadorna in una nuova piazza.

La storia dei murales
Il complesso di murales dell’ex Area Cadorna venne realizzato nel 2015, nel contesto della Terza Edizione di “Icastica”, manifestazione artistica (all’epoca tanto nota quanto divisiva) ideata da l’allora assessore alla cultura della giunta Fanfani, Pasquale Macrì. Proprio in quell’anno venne presentata “I Street”, una sezione specifica della rassegna dedicata alla street art. La realizzazione dei murales cominciò a settembre, poco dopo l’insediamento del nuovo sindaco, Alessandro Ghinelli. Un progetto, quindi – complice anche un ironico tempismo istituzionale – nato sotto un’amministrazione di sinistra ma messo in atto, agli effetti, da un’amministrazione di destra; questo, nonostante lo stesso Ghinelli prima di venire eletto si fosse discostato dalla manifestazione, definendola come “un’operazione elitaria”, e non esattamente ciò di cui Arezzo avrebbe avuto bisogno.

Esattamente due anni dopo, nel settembre 2017, il progetto di collegamento tra l’ex Cadorna e Via Garibaldi venne messo per la prima volta sul tavolo. Fu abbastanza intuitivo per la cittadinanza comprendere che ciò avrebbe potuto comportare un rischio per i murales. E così, alla fine del mese, venne lanciata su change.org una petizione che raggiunse in breve tempo quasi 4.000 firme, con la quale si chiedeva all’amministrazione di ripensare il progetto, salvaguardando al contempo i murales. Si scrissero articoli, ci furono flash mob, e anche uno shooting dei Negrita per presentare la loro partecipazione all’Eurovision Song Contest di quell’anno. La questione, inevitabilmente, smosse interessi, creò dibattiti, fino ad – ahinoi – venir presto portata sul piano politico, e assurta come bandiera, costretta ad adattarsi alla direzione del vento di una fazione piuttosto che di un’altra.

Le Opere
Icastica ha avuto il merito di portare ad Arezzo street artists di caratura e fama internazionale, nonostante negli anni le opere siano state definite da varie parti – anche istituzionali – come “minori” e dal “modesto valore artistico”. Pensiamo al francese Seth, che con “Escape the Mind – Una Finestra sulla Mente” (opera realizzata sul lato della Casa delle Culture, e protagonista anche di una delle nostre copertine!) parla alle nuove generazioni, in un pendolo che oscilla tra la fuga dai demoni che talvolta vengono ad abitare le nostre menti e la rottura degli schemi che i preconcetti sociali portano con sé.

Ma anche Sten e Lex, da Milano, con “Paesaggio Urbano V”, opera costituita da un pattern geometrico in bianco e nero, ispirata a un dettaglio contenuto nel celeberrimo ciclo di affreschi della “Leggenda della Vera Croce” di Piero della Francesca nella Chiesa di San Francesco, prezioso retaggio e vanto aretino nell’arte mondiale.
Se queste prime due opere sono state al momento “risparmiate” dal progetto di rigenerazione e riassetto urbano della giunta Ghinelli, di altre due restano purtroppo solo bei ricordi e qualche fotografia. La prima è forse la più conosciuta, in quanto è stata anche simbolo della “resistenza artistica cittadina” che negli anni tanti aretini hanno portato avanti: era l’opera del milanese Moneyless, realizzata sulla (ex) parete frontale di Piazza del Popolo. Oggi alcuni detriti di quel murale sono diventati un’installazione; l’artista stesso si è reso disponibile a tornare ad Arezzo per “graffitare” altri muri.

WEARE ovviamente lo aspetta a braccia aperte (e chissà che non ci scappi una prossima copertina…). Infine c’è (o meglio, c’era) “Sound of the Wall” del riminese Eron, forse l’opera più impattante del complesso, ma sfortunatamente anche la più penalizzata, a causa della posizione su una parete di dimensioni ridotte e leggermente indietreggiata rispetto alle altre; realizzata con la tecnica dello spray painting (cifra stilistica dell’artista), raffigurava soggetti civili e militari in una nuvola di fumo. Oggi di quell’opera rimane solo una colomba bianca che vola verso l’alto. E forse proprio questo murale, più di tutti gli altri, scatena una riflessione che – in mezzo a tante altre – è comunque necessario fare: le opere di street art seguono inevitabilmente il destino delle “tele di cemento” sulle quali vengono realizzate. E le conseguenze del tempo, il degradamento e i cambiamenti dell’ambiente circostante continuano a fare parte di quelle stesse opere, spesso potenziandone – volenti o nolenti – il messaggio originario.

L’Oggi (e/è) il Domani
I lavori dell’area Cadorna attualmente continuano a essere in corso, e sicuramente dovremo attendere il 2025 per vedere il nuovo progetto urbanistico portato a completezza.
Poco si può fare per i murales già demoliti; ma per quelli che restano è doveroso chiedere che si faccia il possibile al fine di salvaguardarli.
“Ma perchè vi importa tanto dei murales?”, potrebbe chiedere qualcuno. Basta solo spostare di poco lo sguardo fuori dalle nostre quattro mura, e guardare cosa ci insegnano l’East Side Gallery di Berlino, la Barriera di Separazione in Cisgiordania, Las Etnias a Rio de Janeiro, ma anche le tante opere di Keith Haring, Jorit, Banksy disseminate nel nostro Paese: nella street art “la funzione artistica è secondaria rispetto alla dimensione sociale. Si tratta di un’arte libera, democratica, senza casa, senza pedigree e autorizzazione.” – Cristiano Seganfreddo, Style Magazine – 2022.
E in una piccola città come la nostra, in cui ormai – paradossalmente – non si contano più i luoghi in cui per fruire dell’arte è necessario pagare il prezzo di un biglietto, noi vi chiediamo solo: lasciateci ammirare liberamente.

di GEMMA BUI
Progetto grafico Erica Ferrini

Ascolti consigliati:
“Another Brick In The Wall Part 2” – Pink Floyd (1979)
“Without You” – David Bowie (1983)

Gemma Bui
GEMMA BUI

Studentessa, musicista, cultrice dell’Arte variamente declinata. Con la scrittura, cerco di colmare la mia timidezza dialogica. Nelle parole incarno la sintesi – e non la semplificazione – della realtà. Credo nella conoscenza come mezzo per l’affermazione di sè e come chiave di lettura dell’esistere umano.

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