In una stanza nel cuore di Arezzo, con due grandi finestre che affacciano sulle Logge del Grano, il Maestro Eustachio De Piano sta parlando con un futuro studente. Il ragazzo, zainetto in spalla, è davanti alla cattedra e sbircia il registro elettronico. È venuto a informarsi sull’inizio dei corsi.
“A che ora esci dal lavoro? Alle sei? Va bene, allora alle sei. Però vieni: vieni a scuola.”
È tardo pomeriggio, tra poco il Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti chiuderà. Nell’ampia stanza ci sono una trentina di sedie con ribaltina-scrittoio, delle lavagne, e poster alle pareti: l’alfabeto latino illustrato, i verbi più usati dell’italiano, una mappa della penisola.
Nel corso di una giornata, a pieno regime, in questo palazzo che affaccia su Piazza del Popolo – un punto centrale della città, che ogni aretino attraversa chissà quante volte alla settimana – passano circa quattrocento studenti. E qualche altro centinaio si aggiunge al numero se pensiamo ai punti di erogazione della Provincia, che coincidono con le quattro valli attorno ad Arezzo e la Casa Circondariale di Via Garibaldi.
Il CPIA offre corsi di italiano per stranieri, di conseguimento della licenza media e del biennio superiore, e di ampliamento dell’offerta formativa. Gli studenti, va da sé, sono in larga parte stranieri. Il conseguimento di una certificazione di lingua italiana è richiesto dalla Legge Bossi-Fini e dal Decreto Salvini per ottenere il permesso di soggiorno di lungo periodo e la cittadinanza.
“La mattina vengono di più le donne: per loro è anche un modo di socializzare al di fuori della loro famiglia o comunità. All’inizio non arrivavano da noi. Poi ci sono quelli che non sono molto motivati, o quelli che vengono perché ci viene un parente o un amico. C’è chi dorme, chi chiacchiera, chi alza la mano, come in ogni classe. Il CPIA è una realtà che offre veramente un servizio fondamentale, perché noi siamo un presidio del territorio. Siamo uno dei primi luoghi dove un immigrato va. Abbiamo visto le ondate delle guerre: siriani, afghani, curdi. Qui stai seduto e ti passa davanti il mondo.”
La chiacchierata va avanti spaziando da un argomento all’altro, dagli aneddoti del giorno prima ai racconti delle origini, perché Eustachio De Piano, il Maestro De Piano, fa questo lavoro da venticinque anni.
“Quando ho iniziato io, sai quanti insegnanti c’erano?” dice Eustachio con un sorriso, e solleva un dito: “Uno.” Intende nel 1998, quando ha iniziato a tenere i corsi serali nella vecchia sede di Via Da Palestrina, perché era stato l’unico a indicarla tra le opzioni in cui avrebbe accettato di lavorare. “Ho ereditato la classe dalla persona prima di me, e sono partito. Al tempo eravamo io, una trentina di studenti e basta: anche il custode è arrivato dopo. Non c’erano materiali, le classi non erano divise per competenza. Ora è molto più strutturato, in provincia siamo in tutto sette insegnanti. Nel tempo è stato fatto molto per contribuire a questa crescita, soprattutto grazie a una rete di contatti, con i colleghi, tra gli studenti, per spingere le persone a venire a scuola.”
In questo tipo di insegnamento, spiega, la rigidità della programmazione non paga. “Perché il CPIA non è solamente un luogo dove impari la lingua italiana, ma dove tu apprendi anche quali servizi ci sono nel territorio, dove si parla di religione, di integrazione, lavoro e contratti… E’ una realtà molto più vasta di quello che la gente pensa. Ma il carcere è uguale.”
Il Maestro De Piano insegna ai detenuti della Casa Circondariale due volte a settimana. “Parli di diritti e doveri, di giustizia; e non ne parli in maniera solamente critica, perché io in tanti anni che ho frequentato la Casa Circondariale non ho mai trovato nessuno che dicesse: io qui non ci dovrei stare. Loro ti dicono: ho commesso degli errori, sto qui, ma vorrei starci meglio. Questo sì.”
Molte cose non cambiano tra una classe di persone recluse o libere: si tratta comunque di studenti adulti, con tanti pensieri che vengono prima dell’istruzione. “L’educatore non è quello che si pone su un gradino superiore, ma è chi dà uno strumento. Soprattutto nell’istruzione degli adulti, è sempre uno scambio di esperienze. Se tu dai e loro percepiscono di ricevere qualcosa, ti danno anche loro in termini di fiducia, di racconto della loro esperienza, che sono cose che a me servono per lavorare meglio.”
Ma la chiave, secondo De Piano, è l’elasticità di venire incontro agli argomenti scelti dagli studenti stessi, alle loro reali necessità.
“Io ho sempre le classi base. In genere alla prima lezione entro in classe e domando: cosa sapete dell’italiano? Ti dicono: niente. È il primo step.”
“E poi cosa dici? Vado alla lavagna, faccio un cerchio, e dico: quali parole conoscete? Sono termini che riguardano il corpo, il lavoro, la salute. E partiamo da lì.”
Partiamo da lì, a fine Settembre, con un nuovo Anno Scolastico.
di VIVIANA RIZZETTO
www.cpiaarezzo.it