Nuovo anno, nuova rubrica di Collettivae!
Dopo “Parolae, Parolae, Parolae – Il Dizionario di Etimologia Femminista”, si cambia registro. “Storie che Sono la Mia” parafrasa il titolo di “Vite che Non Sono la Mia”, uno dei romanzi più crudi e potenti di Emanuel Carrère; un libro (non ve lo spoileriamo, voi però leggetelo!) che ci insegna che l’unico modo per ricevere il dolore degli altri è dare a esso voce, facendolo diventare proprio.
Questa rubrica, a suo modo, si prefissa il medesimo obiettivo. Lo fa raccontando storie di persone, di donne e di uomini, di dolore, di violenza, di incomunicabilità, di empatia, di riscatto, di sorellanza. Insomma, storie di femminismo – intersezionale, nello specifico – un tema che spesso oggi viene ancora visto e vissuto come concetto distante, altro, che con noi c’entra poco o niente. La verità è che, nella società di oggi, poche cose sono (o dovrebbero essere?) più onnipresenti e trasversali dell’istanza femminista: nello spettro dei rapporti, nella famiglia, sul posto di lavoro e in generale nei più vari e diversi settori della quotidianità. Perché quando sentiamo raccontare un caso di violenza, di molestia, di abuso o di disuguaglianza, siamo in tant* a realizzare – con più o meno rapidità e facilità – che “sì, è successo anche a me”. Noi vorremmo che quell’identificazione diventasse un motore sociale, di alimentazione dell’empatia, per far nascere nuove istanze comuni e ugualitarie.
“Storie che Sono la Mia” è il nostro piccolo atto di ascolto e dialogo, per contribuire ad abbattere la barricata della discriminazione, dello stereotipo, della vergogna innominabile. Un modo per scardinare l’omertà e l’immobilismo dei non detti, un’occasione per riconoscerci, più simili e più vicin*. Ognun* di noi, tutt* insieme.
di GEMMA BUI
Se “è successo anche a te” e ce lo vuoi raccontare, scrivi a Collettivae oppure a redazione@wearearezzo.it e daremo voce alla tua storia.
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Studentessa, musicista, cultrice dell’Arte variamente declinata. Con la scrittura, cerco di colmare la mia timidezza dialogica. Nelle parole incarno la sintesi – e non la semplificazione – della realtà. Credo nella conoscenza come mezzo per l’affermazione di sè e come chiave di lettura dell’esistere umano.