Secondo la Treccani, “body shaming” è un’espressione inglese composta dal sostantivo “body” (“corpo”) e dal verbo sostantivato “shaming” (“il far vergognare qualcu- nae”). La definizione che ne viene data segue in modo abbastanza letterale la relativa etimologia: “il fatto di deridere qualcunae per il suo aspetto fisico”, facendo con ciò riferimento a qualsiasi caratteristica fisica o estetica. Nel body shaming, tali caratteristiche, che normalmente dovrebbero essere viste soltanto come simbolo di diversità, di umanità, e quindi di bellezza, vengono al contrario considerate come “deviazioni” rispetto a un canone estetico dominante nella cultura o società di riferimento. Un canone imposto da mercati, quali lo spettacolo, la moda, la pubblicità, e non certo da sane esigenze di vita, come le disposizioni sanitarie o la salute psicofisica individuale.
Un canone che, quindi, non rispecchia e non rappresenta affatto la realtà della stragrande maggioranza della popolazione mondiale.
Nonostante – e tuttavia, fortunatamente – si sia cominciato a parlare seriamente del problema del body shaming solo negli ultimi anni, questo fenomeno ha origini antichissime. E proprio la sua origine nel tempo, fa sì che ancora oggi – come in passato – sia così radicato nella società moderna. È per contrastare il fenomeno, che da una decina d’anni si è affermata la “body positivity”: un movimento sorto in maniera spontanea, grazie a donne oversize, spesso nere, e diffusosi sui social network tramite il relativo hashtag.
Un’iniziativa in linea con tale messaggio, e di origine tutta locale, è #mivadobenecosì: una campagna fotografica lanciata da Sara Senesi su CASENTINO2000, mensile di riferimento della vallata del Casentino, con protagonistae soprattutto giovanae e giovanissimae che “si mettono a nudo”, mostrando il proprio corpo a favor di camera, per promuovere e ispirare anche nelle altre persone la filosofia della self acceptance, in un contesto sociale, culturale e geografico a noi vicino, ma non per questo meno giudicante e discriminatorio.
Anche Collettivae tratta il tema del body shaming e della body acceptance. Lo fa attraverso una rubrica dedicata, “Quaesti Corpi”. Nel primo pezzo abbiamo trattato il tema dell’intersessualità; seguiteci per scoprire tutti gli altri!
E mentre aspettate, guardatevi il bellissimo shooting di #mivadobenecosì, creato da Sara Senesi per WEARE insieme a ragazze e donne di Arezzo.
di GEMMA BUI
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Studentessa, musicista, cultrice dell’Arte variamente declinata. Con la scrittura, cerco di colmare la mia timidezza dialogica. Nelle parole incarno la sintesi – e non la semplificazione – della realtà. Credo nella conoscenza come mezzo per l’affermazione di sè e come chiave di lettura dell’esistere umano.